I dubbi del Corriere della Sera su Monti a “mezza forza”

Pubblicato il 2 Gennaio 2012 - 12:08 OLTRE 6 MESI FA

Il ministro del Welfare Elsa Fornero (Lapresse)

ROMA – A crescere l’Italia ancora non pensa, è anzi avviata verso la recessione. Reddito e fiducia sono ai minimi da anni, la pressione fiscale al massimo storico. Con questi dati a far da scenario all’avvio del 2012, come può l’Italia trovare lo slancio per la crescita? Se lo chiedono Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera, firmando un articolo non proprio morbido verso l’azione di governo (soprattutto al capitolo tasse), atteggiamento insolito per un quotidiano invece vicino a Monti. Qualche numero preliminare: Confindustria prevede una caduta del reddito per il 2012 dell’1,6%.

Il Monti a “mezza forza” contestato è quello delle tasse, tante tasse, delle riforme rimandate e delle liberalizzazioni appena accennate. Il decreto salva-Italia ha portato soprattutto tasse e la conseguenza è stata il record della pressione fiscale, al 45%. La fiducia delle famiglie nella propria condizione economica è peggiorata a dicembre del 4,7%, mentre nello stesso periodo le aziende italiane hanno fatto registrare un crollo delle vendite al dettaglio che oscilla tra il 7 e il 10%.

Con questa premessa, secondo Alesina e Giavazzi, la soluzione è quella di ridare fiducia a imprese e famiglie. Possibilmente rispettando il parametro più citato nel dibattito politico di queste settimane: l’equità. Il primo punto è, in un Paese come l’Italia, affrontare con coraggio l’evasione fiscale. Magari consentendo ai cittadini di detrarre dal reddito soggetto a tassazione una quote delle spese. Cosa che indurrebbe molte più persone a chiedere la ricevuta fiscale, con un evidente sollievo per il gettito. Secondo una ricerca di alcuni economisti della Banca d’Italia e dell’Università di Sassari, l’Italia è divisa in due. Dopo l’introduzione dell’euro ci sono state imprese che hanno investito rimanendo sul mercato, e altre che non hanno investito vedendo la loro produttività contrarsi. Queste ultime dovrebbero chiudere ma non lo fanno se lo Stato le protegge, ad esempio con la cassintegrazione anziché con un moderno sistema di sussidi. In questo modo la crescita è rallentata da imprese vecchie e protette, senza contare che le protezioni costano.

C’è poi il versante del mercato del lavoro che necessariamente tocca la grande voragine tra chi è garantito da un posto fisso con relativo contratto e chi no. La soluzione, allo studio al ministero del Welfare, è quella di un contratto unico che accolga un giovane al primo impiego e lo accompagni per la vita lavorativa. Con differenze che riguardano solo quanto l’impresa deve pagare in caso di licenziamento: zero per i primi mesi e un ammontare crescente a seconda del tempo e del rapporto di lavoro. Ovviamente questo presuppone un sistema di sussidi in caso di perdita del lavoro e anche una rinuncia dei giovani all’idea del vecchio posto fisso, spesso sinonimo di illicenziabilità . Il rifiuto dei sindacati a dialogare su questi punti non fa ben sperare.

Oggi l’Italia fa i conti con salari bassi e una scarsa produttività, fattori legati l’uno all’altro. Secondo l’analisi di Alesina e Giavazzi uno dei motivi è che nel nostro Paese si premia ancora troppo l’anzianità. Per questo viene auspicato un accordo su tre punti: le aziende devono accettare il contratto unico rinunciando ai sussidi pubblici; lo Stato riduce le tasse sul lavoro, finanziando gli sgravi con il taglio dei sussidi; i sindacati accettano un mondo del lavoro più flessibile. Quanto l’intera ricetta sia praticabile emergerà già nei prossimi giorni, al primo faccia a faccia tra governo e sindacati.