Corruzione, Lunardi ‘salvato’ dalla Camera. E il palazzetto di Propaganda Fide?

Pietro Lunardi

Ricordate il  palazzetto di Propaganda Fide venduto ad un prezzo di favore con l’intercessione del cardinale Crescenzio Sepe? E  la conseguente accusa di corruzione nell’ambito dell’inchiesta sulla “cricca” del g8? Se le ricordate ancora, potete cancellarle dalla vostra mente. Perché sono state tutte cancellato da un “no”, quello con cui la Giunta della Camera dei deputati ha negato l’autorizzazione a procedere nei confronti di Pietro Lunardi.

Eppure, non più tardi di 40 giorni fa, il tribunale dei ministri di Perugia, nell’inviare gli atti alle Camere, suggeriva una scelta molto diversa: “Le emergenze processuali – si leggeva nella relazione che accompagnava gli atti – non depongono a favore di un provvedimento di archiviazione”.

Come non detto: la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera ha prima preso tempo, spostando la decisione da metà settembre ha metà ottobre. Poi ha preso il fascicolo Lunardi rispedendolo al mittente dicendo, in sostanza, che senza sapere nel dettaglio la situazione degli altri indagati, compreso Sepe, non si può “decidere nel merito”. Non si può decidere eppure, a caldo, il diretto interessato parla di un “passo importante verso la chiarezza”.

L’ex ministro Lunardi era stato coinvolto, insieme al cardinale Crescenzio Sepe,  nell’inchiesta sulla cosiddetta “cricca”per la vendita nel 2004 – ”con l’intervento risolutivo” di Angelo Balducci, secondo l’accusa – di un palazzo dell’organizzazione religiosa Propaganda Fide. Allora Sepe era proprio il responsabile delle infrastrutture per la congregazione.

Lo stabile si trova a Roma in via dei Prefetti e il costo fu, secondo gli atti dell’inchiesta perugina, di tre milioni di euro pagati in parte con un mutuo. Un prezzo considerato ”di favore” dagli inquirenti. In base alla ricostruzione accusatoria ”a fronte di tale acquisto”, Lunardi avrebbe consentito a Propaganda fide di accedere a un finanziamento di due milioni e mezzo di euro erogato dalla Arcus ”in difetto dei presupposti”. Fondi destinati a un museo da realizzare sempre nella capitale, in piazza di Spagna. Lunardi si è sempre difeso dicendo  che ”non c’era nessun collegamento” e che si trattava di una “persecuzione giudiziaria”.

Nel dubbio, però, già a giugno la Congregazione, con una nota ufficiale, ha fatto sapere che di optare, dopo gli scandali, per ”una gestione professionale”, in ”linea con gli standard più avanzati”, per evitare ”gli errori di valutazione” del passato.

Non ci saranno collegamenti. Curioso, però, che sempre oggi arrivi l’annuncio ufficiale dell’apertura del museo in questione. Museo alla cui realizzazione, sei anni di lavoro e tante perplessità da parte della Corte dei conti, ha partecipato lo Stato italiano con 5 milioni di euro erogati da Arcus (la spa in condominio tra i ministeri della cultura e delle infrastrutture) su un totale di spesa di 15 milioni e 742 mila euro.

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