Caos Pdl. Fini attacca, Berlusconi tace: lo scontro continua

fini berlusconi
Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi

Gianfranco Fini attacca sulla questione morale nel Pdl, Silvio Berlusconi non commenta, ma i suoi reagiscono. A chi gli chiede di sconfessare Fabio Granata per le sue esternazioni su mafia e politica, a chi esige che lui dica qualcosa di chiaro e definitivo sul caso prima che il suo fedelissimo sia deferito ai probiviri del Pdl, Gianfranco Fini risponde con durezza.

Un partito intitolato alla libertà, scandisce, ”non può considerare un provocatore chi pone la questione morale”, ”non può reagire con anatemi e minacciando espulsioni” al dissenso perché è ”illiberale”. E aggiunge anche, il Presidente della Camera, che è bene tenere alta la bandiera del garantismo, ma ”è inopportuno continuare a mantenere incarichi politici quando si è indagati”. Parole incendiarie, soprattutto se si pensa che la terza carica dello Stato le pronuncia nel giorno in cui uno dei tre coordinatori del Pdl, Denis Verdini, si presenta davanti ai pm di Roma nella settimana chiave per l’inchiesta sulla P3, dopo essersi dimesso dalla presidenza del Credito Cooperativo Fiorentino.

Tocca quindi, nell’irritato silenzio del premier, agli altri due coordinatori reagire: Sandro Bondi punta il dito contro Fini e lo accusa di essere venuto meno al proprio ruolo istituzionale, Ignazio La Russa ancora invoca che lasci la Presidenza della Camera per fare il ministro. Non lo farà mai, ribattono in coro i finiani, ”fino all’ultimo giorno della legislatura”.

E’ Fini stesso del resto, in collegamento telefonico con la prima affollata convention di Generazione Italia a Napoli, a ricordare: ”il Pdl è la nostra casa, e dopo averla fondata non c’è alcuna intenzione di lasciarla, ma anzi abbiamo il dovere di impegnarci dall’interno per renderla migliore”.

Altro che mettere al bando Granata. Per i finiani ”piuttosto davanti ai probiviri dovrebbero andare i casi Verdini, Cosentino, Dell’Utri”. E intanto Fini ricorda che ”le leggi non possono essere un salvacondotto per i furbi”, batte e ribatte sul tasto della legalità ben sapendo che proprio questo è insopportabile per il premier: passare come chi non bada abbastanza al rispetto delle regole e al comportamento integerrimo della sua classe dirigente, non avere quella ”etica del comportamento” della quale ancora oggi Fini va parlando.

Le opzioni che restano sono le elezioni anticipate o la divisione del partito (e allo scopo l’ufficio stampa del Pdl fa sapere che Berlusconi è l’unico proprietario del simbolo, ne ha piena disponibilità senza bisogno della autorizzazione di nessuno). Ad ogni buon conto, da Palazzo Chigi arriva una ‘smentita preventiva’ di ogni possibile ricostruzione: ”Si avverte che il Presidente Berlusconi non ha fatto né farà alcun commento sulle dichiarazioni del Presidente Fini. Questo suggerimento tiene conto del tradizionale florilegio di frasi e di giudizi mai pronunciati che accompagna queste vicende e che rischiamo di trovarci stasera sulle agenzie di stampa e domani sui giornali”. Possibile che domani, di fronte al gruppo riunito in notturna nella Sala della Regina di Montecitorio, il Cavaliere chiamerà i suoi deputati a serrare i ranghi in vista del passaggio in Aula di intercettazioni e manovra. Ma al redde rationem con i finiani difficilmente si arriverà in questa occasione. Le truppe del presidente della Camera staranno ben attente a non compiere passi falsi (mentre Fini  invoca l’accordo dei gruppi per la nomina degli otto membri laici del Csm, che il Quirinale stesso da ultimo ha sollecitato).

Intanto l’ex leader di An non tralascia neppure il delicato rapporto con la Lega, ricordando che il federalismo fiscale non potra’ danneggiare il Sud. ”E’ un pessimo segnale quanto accaduto nei giorni scorsi – denuncia Fini – quando il governo, per compiacere mille allevatori leghisti che si trovano da anni in una situazione di illegalita’, ha previsto un emendamento alla manovra sulle quote latte che portera’ ad una sanzione da parte dell’Ue”. A sera è il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto ad osservare amaro ”cosi’ il presidente del partito devasta e destabilizza il partito”. Ma Bocchino gli fa eco: ”non ce ne andiamo, non ci facciamo cacciare, non prendiamo in considerazione separazioni consensuali. Se qualcuno ci scatena la guerra, faremo la guerra. Se scissione sara’ non sara’ indolore”.

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