Fini: lodo costituzionale e legge “accorcia processi” compatibili

Per Fini la legge accorcia processi e la riproposizione per via costituzionale del lodo Alfano sono progetti che si possono portare avanti contemporaneamente; ma nel Pdl continuano ad esserci forti perplessità, soprattutto tra gli uomini più vicini al presidente della Camera.
Gianfranco Fini

Lodo Alfano riproposto per via costituzionale non è affatto incompatibile con il disegno di legge “accorcia-processi”.  Questo il senso di quanto detto dal presidente della Camera Gianfranco Fini in un’intervista al programma televisivo “In mezz’ora”. Per Fini, che ha fatto anche il punto della situazione sulla maggioranza, i due provvedimenti potrebbero marciare benissimo «di pari passo».

Possibilista sul processo breve, Fini si è detto totalmente contrario alle elezioni anticipate: «Sarebbero solo la presa d’atto dell’impossibilità da parte del Parlamento di realizzare le riforme di cui l’Italia ha bisogno. Sarebbero anche una sconfitta per il Pdl, che ha invece qui e ora la possibilità di dimostrare la comune vocazione alle riforme».

Il ddl appena presentato in Senato, che fissa a sei anni la durata massima dei processi, ha detto il presidente della Camera, «non deve destare scandalo» perché è da tempo che l’Unione europea bacchetta l’Italia per i suoi continui ritardi. Allo stesso tempo, però, Fini non ha nascosto le sue perplessità.

Sulla riforma dei processi, invece, il co-fondatore del Pdl ha citato, infatti, le parole del presidente del Senato Renato Schifani per dire che il testo dovrà essere valutato «solo alla fine del suo iter parlamentare» perché potrebbero intervenire dei cambiamenti. Uno dei quali è stato annunciato dal capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto durante un congresso a Sain Vincent. «Si potrebbe ripristinare il testo originario nel quale si parlava di delitti e non di reati», ha suggerito il parlamentare, facendo così capire che potrebbe essere accolta la richiesta dei finiani di togliere il reato di ingresso illegale in Italia dall’elenco di quelli gravi (come mafia e terrorismo) per i quali nel ddl non si prevede il processo breve.

Un’ interpretazione della gravità dei reati, quella attuale, che finisce per accomunare lo straniero in cerca di lavoro «al boss mafioso», come aveva osservato, prima del presidente della Camera, anche il finiano Fabio Granata.

La modifica, chiesta a gran voce dalla Lega, era stata respinta con forza dagli uomini di provenienza An. A cominciare dal presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno che, dopo aver letto il testo presentato al Senato dal capogruppo Pdl Maurizio Gasparri e dal vicecapogruppo Gaetano Quagliarello, si era detta «stupita» per la novità introdotta nel testo.

Ma quello degli immigrati non sembra l’unico ostacolo al sì corale del centrodestra. Fini, nell’accordo con Berlusconi, aveva posto anche un’altra condizione per il suo via libera: «Nella finanziaria si dovranno prevedere stanziamenti adeguati per la giustizia» in modo da consentire agli uffici giudiziari di lavorare sul serio in fretta e bene. Concetto ribadito anche  in Tv.

Ma i fondi che sono stati previsti in dotazione per le toghe si è deciso che arriveranno dalla vendita dei beni confiscati. «E su questo non siamo d’accordo – avverte di nuovo Granata – perché così facendo i beni ritorneranno in possesso dei mafiosi che se li ricompreranno attraverso dei prestanome».

Anche su questo punto, dunque per il finiano, «si dovrà aprire una riflessione». L’opposizione intanto insiste nella sua crociata anti-ddl invitando la maggioranza, come fa il segretario del Pd Pierluigi Bersani, ad in «soprassalto di responsabilità» perché se continuerà lo scontro su questo fronte ci sarà il rischio che «si crei un muro di gomma tra il Paese e la politica».

I veri problemi della giustizia in Italia, taglia corto il ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, «sono organizzativi». Per far funzionare davvero gli uffici giudiziari servirebbe «un manager». Ma questo, si ironizza nel centrosinistra, «non basterebbe certo a risolvere i guai giudiziari del premier». Perché in fondo, ribadisce il leader dell’Idv Antonio Di Pietro, «é solo di questo che si sta parlando».

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