Pd-Pdl-Udc: legge elettorale da Prima Repubblica per congedare Porcellum e Monti?

Pubblicato il 27 Marzo 2012 - 20:55 OLTRE 6 MESI FA

Alfano, Bersani e Casini (LaPresse)

ROMA – Quattro punti certi e un piccolo giallo. La nuova legge elettorale, quella che dovrebbe mandare in pensione l’odiato “Porcellum” prende la forma di una scaletta minimale al termine del vertice di martedì pomeriggio tra Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pierferdinando Casini.

Cinque punti che poi, smentita del Pd attraverso comunicato alla mano, si riducono a quattro, perché salta uno degli aspetti centrali, quello del ritorno al sistema delle preferenze, vera novità insieme al maggioritario, della prima fase della seconda Repubblica. Cinque punti che dovrebbero lanciare le prime elezioni della Terza Repubblica ma che, analizzati nel dettaglio, ricordano molto il modo di votare e di negoziare alleanze, della Prima.

Di sicuro, invece, nella bozza ci sono la cancellazione dell’obbligo di coalizione, la permanenza dell’indicazione del candidato premier, la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento e il diritto di tribuna.

Ma cosa cambia in concreto? Cambia molto. Innanzitutto, con la legge attuale, i partiti sono obbligati a indicare prima del voto la coalizione con cui intendono governare. Obbligati dai fatti e dal premio di maggioranza, quello che concede alla coalizione vincente (non al partito) i parlamentari per avere la maggioranza nelle Camere. Venendo meno questo vincolo i partiti possono invece presentarsi alle urne in ordine sparso, tutti contro tutti, esattamente come accadeva ai tempi della prima Repubblica.

Per allearsi, casomai, ci sarà tempo dopo, con buona pace dei programmi non più di governo, ma di singolo partito, destinati a rimanere lettera morta. Perché chi vince poi dovrà trovare gli alleati per avere la maggioranza e quindi patteggiare su contenuti non presentati prima agli elettori. Immaginiamo che non sarà difficile – al chi avrà preso più voti fra Pd e Pdl – riuscire a convincere Pierferdinando Casini a fare il “sacrificio” di entrare nella maggioranza di governo.

Così stando le cose il premio di maggioranza cessa di fatto di esistere. In un Paese in cui i primi due partiti sono lontani dal 30%, infatti, è oggettivamente difficile anche solo immaginare Pd e Pdl sfondare quota 50% per avere il premio e governare in solitaria. Discorso analogo per quanto riguarda l’indicazione del candidato premier che rimane ma solo sulla carta. Il perché è presto detto: ogni partito, da solo, presenterà il suo premier e quindi non è difficile pensare che pur di governare partiti diversi saranno costretti a convergere su un presidente del Consiglio “terzo”, non indicato nella scheda elettorale.

Così, per ora, la nuova legge si presenta non senza confusione, un po’ maggioritaria, un po’ proporzionale, un po’ “alla tedesca”, un po’ “alla spagnola”. Emblematiche le parole dell’ex ministro Ignazio La Russa che più che un sistema elettorale sembra presentare una cartella clinica di un paziente complicato: “Possiamo chiamarlo un tedesco bipolarizzato dove c’è l’indicazione del premier con un premio di maggioranza per chi vince”.

Il punto che sta probabilmente più a cuore agli italiani, invece, vacilla. Annunciato dalle agenzie come parte dell’intesa del vertice, il ritorno della scelta dei parlamentari ai cittadini viene subito smentito dal Pd. Difficile, per ora, capire se si tratti solo di un no ai collegi uninominali o se ci sia una o più forze politiche intente a difendere le liste bloccate. Ancora più difficile che qualche partito lo ammetta.

Riduzione dei parlamentari. L’accordo prodotto nel vertice, poi, prevede di incardinare parallelamente la riforma della Costituzione e la legge elettorale. Il numero dei parlamentari dovrebbe scendere da 945 a 750: ovvero 500 deputati e 250 senatori. “Sul numero dei parlamentari la decisione dovrebbe essere questa: al massimo ci potrà essere una norma transitoria” ha spiegato il leader Udc, Pier Ferdinando Casini.

Prova… tecnica di benservito ai tecnici? Di curioso nell’accordo sulla legge elettorale, c’è sicuramente la tempistica. Per quasi 20 anni Pd e Pdl si sono guardati in cagnesco e l’attuale porcellum fu frutto di un blitz pre-elettorale. Oggi, invece, improvvisamente i partiti si scoprono pronti a parlarne. Forse, ma è un’ipotesi, si tratta di un semplice “scatto di orgoglio” vista l’insistenza sul tema del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Difficile, però, visto che il capo dello Stato insiste, senza esito, sul tema da mesi. Forse è una risposta a Mario Monti, che sul tema è da sempre rimasto freddo e scettico. “E’ un tema che spetta al Parlamento” la sua linea. Con un sottinteso abbastanza chiaro: “Non ce la faranno mai a mettersi d’accordo”.

C’è poi l’interesse a spostare il focus su qualcosa di altro rispetto all’imbuto lavoro, anche perché la riforma è destinata a tempi lunghi e vita travagliata nelle Camere. Infine un sospetto: la nuova legge elettorale è lo strumento con cui la politica si prepara, un domani, a dare il benservito a Monti. Fatti i tagli dolorosi alle pensioni, tamponata l’emergenza, sistemato (forse) il lavoro, appena sfiorato il capitolo liberalizzazioni i tecnici possono essere mandati a casa con qualche mese di anticipo. Anche perché, come ha detto Monti, loro non hanno intenzione di tirare a campare. E una legge elettorale che consente di andare tutti contro tutti è, in questo momento, ottimale. Perché rimanda la questione alleanze, dolorosa sia per l’asse Pdl-Lega, sia per l’asse Pd-Idv-Sel.

Protestano Lega e Idv. Non a caso a protestare sono proprio i leghisti e gli esponenti dell’Idv. Per il dipietrista Massimo Donadi la nuova si prepara una “truffa elettorale” mentre per il leghista Roberto Calderoli “ci sono troppi bari ed è il caso di vedere le carte”. Del resto Lega e Idv ci perdono due volte: una legge di questo tipo li penalizza come numero di seggi e rischia di marginalizzarli in un sistema di alleanze che punterebbe soprattutto al centro.