ROMA – Il 30 settembre 1977 Walter Rossi venne colpito a morte da un proiettile sparato da militanti neofascisti nel corso di una manifestazione di Lotta Continua davanti alla sede del Msi nel quartiere romano della Balduina. 34 anni dopo il padre Franco non parteciperà all’anniversario della morte del figlio: “Lo ricorderò da solo, al cimitero” ha spiegato al cronista del Corriere della Sera. Nonostante un’era geologica, in termini storici, sia nel frattempo trascorsa da quel decennio di sangue, l’odio non si è mai del tutto placato. Impossibile mettere un punto, voltare pagina definitivamente. “Non ci sarò in piazza alla commemorazione del Comune. Mi toccherebbe litigare con quelli là, che cercano rogna”, si sfoga Franco Rossi.
Quelli là sono gli amici del figlio, compagni irriducibili in eterna lotta con il nemico fascio, di oggi, di ieri, di domani. Sono quelli che due anni fa gettarono la corona deposta dal Comune del “fascista” Alemanno. Sono quelli che l’anno scorso “mi accusarono di essermi venduto Walter”, sospira l’amareggiato padre. Sono quelli che quest’anno hanno organizzato un presidio antifascista “per impedire al sindaco un’ipocrita celebrazione.” Alemanno, prudentemente, perché già scottato da altri episodi simili, diserterà la celebrazione. E forse è un bene, un profilo basso è più opportuno vista la sua ben nota militanza da “cuore nero”: non può, come uno Zelig in fascia tricolore, vestire allo stesso tempo i panni del fiero anti-comunista con celtica al collo e quelli del pacificatore.
“Quelli là”, invece, dovrebbero riflettere sulle parole di un padre che ha perso in quel modo un figlio e verificare l’attualità, l’efficacia, la qualità del loro impegno immancabilmente duro e puro. “”Gli amici di mio figlio – constata l’anziano genitore – strumentalizzano il suo nome. Non si vedono e non si sentono tutto l’anno, compaiono solo il 30 settembre per fare casino. E’ una cosa schifosa.” Purtroppo le parole del padre hanno scatenato la reazione dell’altro figlio, Gianluca, fratello di Walter. Disapprova il comportamento del padre che “sputa” sugli ideali del figlio, forse, allude sibillino, per ottenere qualcosa dal potente di turno, in questo caso il sindaco di Roma. Ma queste sono questioni familiari: la realtà, che ci riguarda tutti, è che in un modo o nell’altro,si continua a giocare agli anni ’70. Che non tramonteranno mai.