I soldi di “carta”: una montagna che cresce. Sulle spalle del Pil mondiale: 50 a 1, il rapporto non regge più

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 8 Dicembre 2010 - 15:47 OLTRE 6 MESI FA

Ma può anche “andar male”: il Pil mondiale non tiene il passo e la montagna di “cartaceo”, ogni giorno più alta perché incrementata dal nuovo denaro “stampato” per stimolare economie in affanno e società in ansia, smotta e frana. Se va male il rapporto uno a cinquanta tra ricchezza materiale prodotta e cartaceo circolante si riduce per via di massiccia e prolungata inflazione: le merci costano più denaro e la distanza tra i due “valori” si riduce mentre si abbatte il “valore” del cartaceo.

Sia che vada bene sia che vada male, il mondo conosciuto cambia. Nel secolo scorso sinistra politica in Occidente voleva dire che, in presenza di un aumento mai visto nella storia della ricchezza prodotta, questa doveva essere prodotta in modalità non penalizzanti per i produttori-lavoratori e distribuita in quantità socialmente eque. Simmetricamente destra politica in Occidente nel secolo scorso significava che, in presenza della possibilità di produrre quantità di ricchezza mai vista nella storia, non venissero ingolfati, bloccati, negati i meccanismi di questa iper produzione di ricchezza, cioè il mercato e il capitalismo stesso. Dal conflitto, dal compromesso, dai rapporti di forza tra questi due “vettori”, destra e sinistra, nascono la libertà d’impresa, il capitalismo industriale, lo Stato sociale, le pensioni, le ferie pagate ai lavoratori, la sanità e l’istruzione pubbliche, la stessa democrazia delegata e parlamentare. Ma nè il socialismo e la socialdemocrazia, nè il liberalismo e il conservatorismo fanno e possono fare a meno della premessa: l’aumento progressivo e massiccio della ricchezza prodotta. Partiti politici in un sistema “plurale” di rappresentanza e promozione degli interessi, sindacati, diritti sociali, margini di profitto, remunerazione del capitale nelle forme conosciute nell’ultimo secolo in Occidente si fondano e si basano su quella premessa. Se quella premessa viene meno, allora il mondo cambia.

Cambia anche se la politica e la gente non vuole saperne. Lo Stato sociale ad esempio, vanto e orgoglio del “modello europeo”. Se la ricchezza prodotta aumenta e aumenta di molto può essere, economicamente ed eticamente, “universale”, così come lo reclamano le pubbliche opinioni. Ma se la ricchezza prodotta non aumenta e non aumenta di tanto, allora magari il problema fosse quello di “tagliarlo” lo Stato sociale, cioè di tagliare la quantità di spesa pubblica. Se cade la premessa, lo Stato sociale deve farsi radicale e selettivo. Molto radicale, indirizzando quantità rilevanti di spesa pubblica a sostenere il “bisogno” accertato e acuto di quote della popolazione. Ma selettivo, cioè non più per tutti e comunque. Che vuol dire? Vuol dire il contrario della demagogia corrente e politicamente corretta: quando il sovrintendente alla Scala, Barenboim, legge tra gli applausi l’articolo nove della Costituzione italiana dove si legge: “La Repubblica promuove la cultura”, dovrebbe avvertire lui che legge e dovrebbero avvertire quelli che ascoltano e applaudono che “promuove la cultura” non vuo, dire paga a piè di lista il conto che la cultura presenta allo Stato. Promuovere la lirica, la cinematografia o ogni altro segmento della cultura è demagogia se viaggia sotto questa dizione il pagamento a piè di lista universale e indifferenziato di operatori e lavoratori della cultura, di teatri e istituzioni che costano il doppio e lavorano la metà di analoghe istituzioni europee.

Ma fosse solo il teatro o il cinema…La destra politica e sociale racconta, e quel che è peggio, fermamente crede che sia una pausa, un intoppo e poi tutto tornerà come prima in termini di ricchezza disponibile e afferrabile. La sinistra politica e sociale racconta che tutto sarà come sempre, anzi “deve” essere come sempre in termini di spesa e di Welfare. Entrambe si narrano come alternative nell’uso e nella destinazione della nuova ricchezza che immancabilmente affluirà. Narrazione smentita dai fatti ogni giorno, narrazione contraddetta dalla storia, non quella futuribile ma quella che già si sta facendo storia. L’Occidente, le nostre società, noi tutti, non siamo condannati dai numeri e dai fatti alla povertà e all’indigenza. Ma sono, siamo obbligati dai fatti e dai numeri a convivere con minor ricchezza relativa e assoluta, quindi a un riassestamento dei redditi e consumi, delle aspettative e delle abitudini, dei diritti e dei bisogni un passo indietro. Destra e sinistra dovrebbero reciprocamente misurarsi su come si fa questo passo indietro senza sbilanciarsi, scivolare, rotolare. Dovrebbero saperlo e insegnarlo. Non lo sanno, non vogliono saperlo e hanno una sola attenuante: se ce lo insegnassero li sbatteremmo via dalla cattedra dei governi per democratica via elettorale.