Le relazioni tra Venezuela e Stati Uniti cominciano l’anno nuovo all’insegna di un contenzioso diplomatico che non sembra poter giungere ad una conclusione favorevole a breve termine. Né l’amministrazione del presidente Barack Obama, né il presidente venezuelano Hugo Chavez – che ha fatto del suo antagonismo agli Stati Uniti un tratto persistente della sua politica – sembrano intenzione a fare un passo indietro. Che la situazione fosse destinata ad aggravarsi lo si era capito nell’ultima settimana di dicembre, quando il governo americano ha revocato il visto all’ambasciatore venezuelano in risposta al rifiuto di Chavez di accettare il nuovo rappresentante americano a Caracas.
I toni sono tutt’altro che concilianti. «Pensavano che avremmo fatto marcia indietro. Ogni ripercussione negativa sarà intera responsabilità degli Stati Uniti»- ha commentato un diplomatico venezuelano di lungo corso, Roy Chaderton. Chaderton, fedelissimo di Chavez ed ex ministro degli Esteri, ha detto che il governo «sta studiano il caso con attenzione e che prenderà tutte le decisioni opportune».
Il casus belli è scoppiato durante l’estate. In luglio sono stati rese pubbliche delle osservazioni che l’ambasciatore Larry Palmer aveva formulato all’inizio dell’anno. In una risposta scritta a delle domande rivoltegli da un parlamentare si esprimeva la convinzione che il morale dell’esercito venezuelano fosse basso e si alludeva, inoltre, alla possibilità che i ribelli colombiani trovassero rifugio in Venezuela, a volte con la complicità di membri del governo. Il presidente Chavez, una volta pubblicate le dichiarazioni, ha affermato che Palmer disonorava il Venezuela e ha incitato il governo americano a richiamare in patria l’ambasciatore. Di fronte ad una replica negativa, Chavez ha provveduto lui stesso a revocare il visto del diplomatico. La risposta statunitense non si è fatta attendere, ed una misura uguale è state presa nei confronti dell’ambasciatore di Caracas a Washington.
I commenti ufficiali della Casa Bianca parlano di una ferma volontà di migliorare i rapporti bilaterali incrinati. La ferità è, però, già antica. Un caso simile – in cui i due paesi avevano ritirato i rispettivi ambasciatori – era avvenuto nel 2008, con George W. Bush presidente, e si era finalmente ricucito solo pochi mesi fa. Secondo i commentatori, il fatto che a Washington non abbia impedito all’ambasciatore Palmer esternazioni critiche nei confronti del Venezuela mostra lo scarso interesse a migliorare i rapporti nel breve termine. Inoltre, negli scorsi mesi il Dipartimento di Stato ha espresso un severo giudizio su recenti leggi approvate in Venezuela che conferiscono, a discapito del parlamento, forte potere decisionale al presidente Chavez, in carica da ormai 12 anni.
Anche con i livelli superiori della diplomazia bilaterale “decapitati”, le relazioni economiche tra i due paesi, com’è naturale, continuano. Tradizionalmente, il Venezuela vende petrolio agli Stati Uniti che fornisce al paese latino beni di primo consumo, prodotti tecnologici, etc. Malgrado i forti legami commerciali tra i due paesi e malgrado le professioni di buona volontà dei loro governanti, non è detto che le relazioni siano destinate a migliorare rapidamente. Chavez ha da anni instaurato una politica energetica che vuole emanciparsi dalle importazioni americane, diversificare gli acquirenti, nella fattispecie aprendo al gigante cinese. D’altro lato, diverse voci si sono levate – specialmente tra le fila repubblicane – per criticare un approccio americano considerato troppo “passivo” nei confronti del Venezuela. Connie Mack, senatore repubblicano del Florida, sintetizza così il pensiero di molti a Washington: «un giorno Stati Uniti e Venezuela avranno di nuovo relazioni diplomatiche forti, e reciprocamente vantaggiose. Sfortunatamente non sembra che questo possa essere possibile durante la leadership di Hugo Chavez».