Si fa sempre più irrespirabile l’aria intorno a Julian Assange, ”scomparso” dal 18 novembre, e ora tornato nel mirino dei principali governi e agenzie di intelligence mondiali, Usa in testa. L’australiano rischia grosso anche in patria: il ministro della Giustizia australiana Robert McClelland ha detto di non aver ricevuto una richiesta specifica da Washington per ritirargli il passaporto e limitarne i movimenti, ma non ha escluso un simile provvedimento.
”Potenzialmente vi è un certo numero di leggi penali che potrebbero essere state violate”, ha detto il ministro. Il ministro della Difesa Usa, Eric Holder, ha intanto annunciato l’avvio di indagini penali. ”Ma io vado avanti”, ha assicurato ieri Assange in un video collegamento con Amman.
Assange è ufficialmente ”missing” da quando il 18 novembre scorso, la magistratura svedese ha spiccato nei suoi confronti un mandato d’arresto internazionale per stupro e molestie sessuali, dopo l’accusa di due donne. Gli episodi denunciati risalgono all’agosto scorso, quando l’australiano si trovava in Svezia per tessere i suoi rapporti con i pirati svedesi, e pensava di costruirsi una base operativa nel Paese, che ha leggi molto stringenti a tutela della libertà di stampa.
Altrettanto severe però quelle sulle molestie sessuali: il mandato di arresto ”per essere interrogato”, recepito dall’Interpol, gli ha chiuso le porte di Stoccolma, con le autorita’ che gli avevano gia’ negato un permesso di residenza. Poche settimane prima del mandato di cattura, Assange aveva annunciato all’emittente elvetica Tsr di voler chiedere asilo politico in Svizzera. Lo staff del sito, aveva spiegato, ”è costantemente sotto minaccia” e questo costringe l’organizzazione a spendere il 70% del proprio budget per assicurare la sicurezza. Gli unici Paesi in cui Assange e soci viaggiano in assoluta tranquillità sono ”Svizzera, Cuba e Islanda”.
Nella ”terra del ghiaccio” l’australiano ha registrato la Sunshine Press Production, prima entità giuridica collegata a Wikileaks. E sempre in Islanda c’è la base di Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange.
Ieri, collegandosi in video con una conferenza di giornalisti ad Amman, in Giordania, alla domanda se avesse ricevuto ulteriori minacce ha risposto con calma olimpica che ”tutte le buone cose portano sempre scompiglio: e tutta l’organizzazione è sotto attacco”.
La vicenda svedese intanto va avanti: uno dei suoi legali ha annunciato che ricorrerà alla Corte suprema di Stoccolma dopo la conferma in appello del mandato di arresto. ”Ci sono cose su questo episodio – ha detto ieri Assange -, così come su altri aspetti della società svedese, che verranno presto fuori. Ma mi è stato detto che è meglio ne parli il mio avvocato”.