
“Quello che ci eravamo impegnati a fare l’abbiamo fatto”, ha dichiarato il ministro della Difesa Guido Crosetto, commentando il raggiungimento dell’obiettivo del 2% del Pil destinato alla Difesa. Un traguardo atteso da tempo, frutto dell’impegno assunto nel 2014 da tutti i membri della Nato. Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani lo ha confermato ufficialmente: “Abbiamo raggiunto l’obiettivo del 2 per cento del Pil per la spesa di difesa e sicurezza, abbiamo già consegnato la lettera alla Nato”.
Tuttavia, questo successo rischia di essere solo il punto di partenza. Lo ha sottolineato lo stesso Crosetto: “Sappiamo benissimo che questo è un punto di partenza. Il nostro obiettivo non è raggiungere un risultato numerico ma quello di avere le capacità che la Nato ci chiede di dare all’Alleanza”. Le nuove richieste provenienti dal segretario generale Mark Rutte, infatti, alzano ulteriormente l’asticella.
Nuove pressioni: si punta al 5%
La situazione geopolitica globale e le pressioni da parte degli Stati Uniti, in particolare durante l’era Trump, hanno spinto la Nato a chiedere un nuovo sforzo: arrivare fino al 5% del Pil. Rutte propone una ripartizione tra un 3,5% destinato alla spesa strettamente militare e un 1,5% a quella per la sicurezza più ampia, che include anche infrastrutture critiche come porti, aeroporti e reti digitali.
Tajani ha mostrato apertura, pur sottolineando la necessità di gradualità: “Ci vuole tempo. Adesso abbiamo raggiunto il 2 per cento, vedremo quali saranno le richieste… si parla del 5 da raggiungere nel giro di alcuni anni”. Ha poi aggiunto: “Credo sarebbe più giusto 3 più 2, sarebbe più equilibrato”.
L’Italia tra recupero e rilancio
“Per recuperare il disavanzo accumulato negli ultimi decenni ci vorranno molti anni”, ha ammesso Crosetto. “Non è che raggiungere il 2% ci mette nelle condizioni di essere a posto”. L’Italia sconta decenni di investimenti insufficienti, mentre altri Paesi Nato — come la Polonia, che spende il 4,7%, o le nazioni baltiche — hanno già superato la soglia minima.
Il processo di riarmo italiano è già in atto: si parla di un costo complessivo di almeno 73 miliardi di euro. Il governo assicura che non si tratta di militarismo, ma di un piano per garantire una sicurezza a 360 gradi. Come ha ricordato Tajani: “Qua non si tratta di essere né guerrafondai né signori delle armi. La sicurezza è qualcosa di molto più ampio”.