ROMA – “Sarebbe auspicabile che un’istituzione museale ebraica italiana, ad esempio il Museo ebraico di Roma, grazie al contributo di fondi istituzionali o magari di qualche privato benefattore, avesse la possibilità di partecipare all’asta, in modo che non venga persa l’eccezionale occasione di esporre permanentemente al pubblico questo importante documento storico e artistico, di possibile grande richiamo internazionale”.
A lanciare l’appello è Elèna Mortara Di Veroli, docente di Letteratura anglo-americana all’Università di Roma Tor Vergata. Si riferisce a un quadro veramente unico al mondo che il 17 dicembre verrà battuto all’asta a New York da Sotheby’s.
La professoressa parla come ebrea italiana e soprattutto come discendente della famiglia di Edgardo Mortara, il bambino di famiglia ebraica romana che il 23 giugno 1858 venne di fatto rapito alla propria famiglia dalle autorità dello Stato pontificio a Roma per essere educato nella religione cattolica.
Racconta Paolo Conti sul Corriere della Sera:
Il quadro raffigura esattamente questo episodio storico ed è firmato da Moritz Oppenheim, considerato il primo pittore ebreo dell’età moderna, e risale al 1862, cioè quattro anni appena dopo il rapimento. È stato ritrovato recentemente in Gran Bretagna, fino ad oggi erano conosciuti solo alcuni lavori preparatori.
Edgardo Levi Mortara, nato il 27 agosto 1851 venne battezzato all’insaputa dei genitori, nel suo primo anno di vita, dalla domestica cattolica che lo riteneva prossimo alla morte per una malattia. Secondo le leggi dello Stato Pontificio i genitori persero la patria potestà perché l’ordinamento giuridico papale prevedeva che tutti i battezzati ricevessero obbligatoriamente un’educazione cattolica e quindi il piccolo fu portato a Roma, presso la Casa dei Catecumeni.
Il caso del rapimento scosse l’Italia pre-unitaria e l’intera Europa e il dibattito si accese anche negli Stati Uniti. Intellettuali e politici, ebrei ma anche cattolici e protestanti, sostennero che il caso Mortara era la riprova della mancanza di autentici diritti civili nello Stato Papale e quindi dell’anacronismo di quella realtà statale. Poi Mortara divenne volontariamente sacerdote, tentò anche di convertire la propria famiglia, e morì molto anziano, nel 1940, a Liegi dopo aver passato anni in un monastero.
Secondo Elèna Mortara Di Veroli si tratta di <un evento del passato ebraico italiano che ha contribuito alla fine dell’età dei ghetti e all’Unità d’Italia& Oppenheim lavorò al quadro quasi come un vero cronista, in tempo reale. Aveva trascorso un lungo periodo in Italia studiando la storia dell’arte e quella del proprio tempo e aveva, da ebreo, conosciuto da vicino il fenomeno delle conversioni forzate. La professoressa Mortara Di Veroli sottolinea che «i giorni rimasti sono veramente pochi» (…)