Cipro, Napolitano, Berlusconi: rassegna stampa e prime pagine

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Marzo 2013 - 09:51 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Quirinale, il rebus Bersani. La Stampa: “Oggi partono le consultazioni al Quirinale. Bersani punta ad «andare avanti con la nostra proposta». Ma i Cinque Stelle aprono a un «esterno». Grasso e Boldrini: tagliamo lo stipendio ai parlamentari dal 30 al 50%.”

Il Parlamento di Cipro boccia il prelievo sui conti. L’articolo a firma di Tonia Mastrobuoni:

“In una telefonata con il presidente cipriota, la cancelliera Merkel ha chiarito che dovrà negoziare le condizioni per il salvataggio direttamente con la trojka Bce-Ue-Fmi. Ma è chiaro che «finché il Parlamento di Nicosia non avrà deciso, non ci sarà nessun programma di aiuti», ha puntualizzato una fonte governativa tedesca sentita dall’agenzia Dpa. Finché Cipro non avrà trovato un modo per mettere insieme i 5,8 miliardi che avrebbe ricavato dal prelievo forzoso sui conti, il Bundestag non voterà gli aiuti. La Bce ha fatto sapere in serata che comunque «riafferma il suo impegno a fornire la liquidità necessaria all’interno delle regole esistenti». Ma il responsabile delle Finanze cipriota è volato a Mosca per chiedere aiuti anche alla Russia. Dopo la levata di scudi universale contro il prelievo forzoso, la Commissione Ue ha fatto trapelare attraverso fonti che durante il negoziato avrebbe fatto pressioni per escludere i conti sotto i 100mila euro dalla tassa. Anche Christine Lagarde, direttrice del Fmi, ha detto che «sosteniamo le intenzioni delle autorità cipriote di introdurre un’aliquota progressiva», insomma una differenziazione tra l’aliquota da applicare ai risparmi sotto quel limite. Il responsabile dell’Economia spagnolo, De Guindos, si è unito al coro definendo «sacri» i depositi sotto i 100 mila euro. E in Italia il presidente di Confindustria Squinzi ha stigmatizzato il «pericoloso precedente» che «trasformerebbe l’Europa in matrigna». L’intesa scaturita dall’Eurogruppo di venerdì e bocciata ieri aveva proposto sotto quel limite un prelievo del 6,75%. Oltre dieci volte quello di Amato del ’92.”

“Abbiamo salvato l’onore. L’Europa ci ricatta”. L’articolo a firma di Roberto Giovannini:

“Un manifestante con un cartello con su scritto (in italiano, e il messaggio è fin troppo chiaro) «oggi a te, domani a me» abbraccia la sua compagna. Da appena due minuti i 56 membri del Parlamento di Cipro hanno bocciato il disegno di legge che prevedeva il «prelievo di solidarietà» sui depositi bancari presentato dal governo su imposizione dell’Unione Europea. Anche se dopo lunghe negoziazioni e rinvii il testo era stato emendato – esentando dal prelievo i depositi sotto i 20 mila euro – la norma non ha ricevuto neanche un voto a favore. Dei 20 deputati del partito conservatore Disy che fa riferimento al presidente di Cipro Nicos Anastasiadis, 19 si sono astenuti, uno si è assentato. Gli altri 36 (dall’opposizione socialista, comunista e verde, ai partiti minori di maggioranza Diko e Evroko) hanno votato contro.”

Il piano B di Napolitano. Un governo di scopo che sia super partes. L’articolo a firma di Antonella Rampino:

“Sarà un match perché il segretario del Pd, pur ripetendo come un mantra che la decisione spetta al presidente della Repubblica, punta con decisione a un mandato pieno. E il presidente della Repubblica, con la Costituzione in una mano e i risultati elettorali nell’altra, è assai meglio predisposto a cominciare da un pre-incarico. Vale a dire che il segretario del Pd dovrà esplorare le possibili alleanze perché la maggioranza relativa che le elezioni gli hanno consegnato in Senato diventi assoluta, così come è già alla Camera. Poi, dovrà riferire al Capo dello Stato. Che a sua volta, in ulteriori contatti con le forze politiche, verificherà la solidità del disegno di governo. Solo in quel caso il mandato a Bersani diventerebbe pieno, e il segretario potrebbe formare un governo e sottoporlo al voto di fiducia alle Camere. Diversamente, Napolitano non esporrebbe Bersani a un flop che nemmeno farebbe bene al Paese, poiché scalzerebbe Mario Monti da Palazzo Chigi, dov’è ancora a termine di Costituzione per il disbrigo degli affari correnti. Non è un dettaglio perché tutto quel che prevede il voto di fiducia, anche se poi i numeri in Parlamento non dovessero esserci, comporta un mandato pieno: Monti, che a Palazzo Chigi è garanzia dell’Italia e dei suoi impegni con l’Europa, verrebbe scalzato da Bersani. Che si troverebbe così a gestire personalmente, tra le altre cose, il Paese verso le elezioni del presidente della Repubblica, procedura che è ragionevole prevedere possa avere inizio per il 20 di aprile. In caso di fallimento del tentativo Bersani, Napolitano tenterebbe la via di un governo di scopo, a termine – e che non si può chiamare «del presidente» solo perché Napolitano termina il proprio mandato il prossimo 15 maggio – da affidare a una personalità super partes con il fine di fare poche cose: garantire gli impegni internazionali, sbloccare i crediti alle imprese, rivedere il porcellum poiché, essendo nato in Italia un Terzo Polo, dalle urne rischia di replicarsi all’infinito il risultato di maggioranza relativa per un solo partito al Senato e la conseguente ingovernabilità che le ultime elezioni ci hanno consegnato. Tra queste personalità che il Capo dello Stato potrebbe individuare non può esserci Mario Monti, che essendo ormai un parlamentare d’ordinanza rappresenta una parte politica, Scelta Civica.”

Il bivio di Bersani. Subito in campo o largo a un esploratore. L’articolo a firma di Federico Geremicca:

“Non è un ripensamento. E nemmeno un passo indietro. Per ora è solo una riflessione sulla via migliore per raggiungere l’obiettivo, che resta lo stesso: un governo-Bersani che coniughi la responsabilità reclamata dalla difficile situazione del Paese con il cambiamento chiesto dagli elettori. Pier Luigi Bersani ne ha parlato ieri a lungo con Bruno Tabacci, l’amico-alleato leader del Centro democratico. «Ma questa ipotesi – racconta Rosy Bindi – l’aveva ventilata anche alcuni giorni fa»: e l’ipotesi tutta da discutere e valutare con Giorgio Napolitano – consisterebbe nel rinviare l’incarico e la «discesa in campo» del leader Pd a dopo l’esplorazione di un presidente incaricato di registrare (e magari ammorbidire) le posizioni dei diversi partiti in campo.”

“Parlamentari, tagliamoci gli stipendi”. L’articolo a firma di Ugo Magri:

“Il Parlamento incomincia con lodevoli propositi. I due presidenti appena eletti, Boldrini e Grasso, proporranno un taglio del 30-50 per cento degli emolumenti ai parlamentari, applicandolo immediatamente a se stessi. I rimborsi forfettari, promettono in una nota congiunta, diventeranno «a pie’ di lista», insomma andranno accompagnati da pezze d’appoggio verificabili. La prima conferenza dei capigruppo alla Camera ha già messo in cantiere uno studio per abbattere i costi e risparmiare ovunque sarà possibile. Quindi machete sui servizi agli onorevoli, sui palazzi in affitto, sul personale. E sbaglia chi crede che siano solo i grillini a battersi perché il vizio (la Casta) renda finalmente omaggio alla virtù.”

Flop dei Pm: Berlusconi non comprò senatori. Il Giornale: “Napoli, il gip nega il rito immediato: nell’inchiesta di Woodcock sul caso De Gregorio non ci sono le prove di corruzione o forzature. L’unica impresentabile è l’Annunziata.” L’editoriale a firma di Alessandro Sallusti:

“Volevano processare subito Silvio Berlusconi per una presunta compravendita di deputati all’epo­ca del governo Prodi, inchiesta napoletana nota come caso De Gregorio. Ma era soltanto l’ennesi­ma bufala di una magistratura sciagurata e ieri la gip ha fer­mato i due pm, il solito Woodcock e l’inseparabile collega Pi­scitelli, che avevano chiesto il rito immediato e ventilato ad­dirittura la possibilità di arresto istantaneo per l’ex premier. La motivazione non lascia spazio a fantasia: non ci sono pro­ve evidenti che De Gregorio abbia votato contro Prodi per dare vantaggi a Berlusconi, tantomeno che questo sia avve­nuto dietro compenso, non c’è stata alcuna corruzione. L’inchiesta era stata gettata come una bomba post eletto­rale, così tanto per fare un po’ di casino,e minacciava di in­terferire pesantemente sulle trattative per la formazione del nuovo governo.Già sinistra-Pd in prima linea-e grillini assaporavano il piacere di votare per l’arrestodi Berlusco­ni­e inaugurare così la legislatura all’insegna del giustiziali­smo politico. Gli è andata buca, il presunto impresentabile Berlusconi non è un corruttore di parlamentari, resta inve­ce impresentabile Lucia Annunziata, campione di diffama­zione impunita e arrogante.”

È una svolta populista. Ma non trasformate Francesco in macchietta. L’articolo a firma di Marcello Veneziani:

“Per carità, Papa Francesco piace davvero alla gente. È un pretone alla mano, nonostan­te sia gesuita, è comunicativo e gestuale, parla il linguaggio dei parroci d’una volta, espri­me una fede elementare in Dio e nella Madonna, parla del Dia­volo e dei poveri. Il suo linguag­gio ricorda i preti dell’infan­zia, le bizzoche del catechi­smo, ma ricorda anche la Ma­donna dei poveri come chia­mavano in Argentina Evita Pe­rón. Nel suo richiamo ai poveri ci sarà forse una reminiscenza della sua gioventù argentina, oltre che un ricordo dell’emi­grazione dei suoi genitori. Quel che invece è insopporta­bile è la stucchevole macchiet­ta che ne stanno facendo i me­dia per esaltarlo e presentarlo come un grillino della madon­na o come la fonte di Uliveto & Rocchetta, ossia il duo Grasso e Boldrini, i presidenti della Sa­lute. Rispettabili per carità, so­prattutto il primo, ma rivendu­ti da­lla grancassa mediatica co­me l’effetto della svolta epoca­le impressa da Papa France­sco. Eccoli, i primi frutti della svolta. Agli occhi ruffiani dei media diventano straordina­rie le sue frasi più banali: ha detto Buonasera, che grande, ha detto Buongiorno, eccezio­nale, ha detto Buon pranzo, che forte. E poi ride, è spirito­so, ha detto ai giornalisti «ave­te lavorato, eh» (ma che c’è da ridere, scusate). Ha poi spiega­to perché s’è voluto chiamare Francesco: ama i poveri, la pa­ce e il creato. Bene, ma non era un po’ prevedibile? Perché si sarebbe chiamato Francesco, in omaggio a Totti o De Grego­ri? Ogni cosa che fa, per i me­dia, aggira sempre il protocol­lo, è tifoso, ama il tango e aveva la morosa, spregia l’anello d’oro e si accontenta del secon­do classificato, l’anello d’ar­gento; e poi non usa le auto grandi, va a piedi, come la Bol­drini, ha gli scarponi e cammi­na come un manovale… Ah quanto ci piace. E basta con la retorica della spontaneità e del Banal Grande. Certo, Rat­zinger era su un altro piano; ma un Papa deve parlare ai po­poli, ai devoti, ai poveri e agli ul­timi, quindi capisco la svolta. E poi un Papa caliente che ha avuto la fidanzata e ama i pove­ri, è già una polizza sulla pedo­filia e il Vaticano spa. Va bene, ma voi smettetela di ripetere a pappagallo le cose più ovvie che dice Sua Santità. Non ridu­cete Francesco a un cartoon per i poveri. Pauperino.”

Che coraggio parlare di tenerezza. L’articolo a firma di Cristiano Gatti:

“Già è evidentissimo il rischio più serio che corre il papa della semplicità, della bontà, della te­nerezza: diventare l’involonta­ri­o testimonial di una nuova mo­da mondana. La moda della sem­plicità, della bontà, della tenerez­za. I segni del fenomeno sono fa­cilmente leggibili sin da adesso: in questi pochi giorni di papato, non si parla d’altro. Tutti eufori­ci per la nuova icona, il nuovo sti­le, i nuovi valori (nuovi?). Non si leggono che apologie di questa benedetta semplicità, neanche l’avessimo scoperta come un vaccino contro l’Aids. Le esalta­zioni di papa Francesco, del suo modo di porsi e di darsi, arrivano più convinte e più torrenziali proprio dagli ambienti essenzial­mente e radicalmente più chic, ascendente snob. Arriviamo per­sino tutti a esaltare la povertà, in realtà un esercizio di stupido pauperismo, perchè la povertà bella è quella d’animo,ma quel­la miserabile e malata resta ine­sorabilmente molto brutta, e va combattuta con tutte le forze fi­no in fondo. Sono riflessioni che andrebbe­ro fatte con calma, dopo l’ap­plauso, ma anche prima. Per non ridurre un grande messag­gio alla solita vacuità del momen­to. Quanto a papa Francesco, da parte sua certamente non si ras­segnerà ad essere un effimero e transitorio personaggio di ten­denza. Durerà, andrà in profon­dità. Perchè la potenza della sua tenerezza non è costruita in labo­ratorio, ma nasce spontanea e sincera dalla sua vera natura, dal suo modo d’essere. Non dure­ranno quelli che adesso lo esalta­no per convenienza, quelli che ne hanno già fatto una moda e uno slogan: perchè dopo tutto parlano di cose estranee. Pur­troppo o per fortuna, la semplici­tà non la possiamo imparare in un corso accelerato, come s’im­para il bon ton a tavola. Semplici si nasce.”

Il Pd incorona il falco Zanda solo per far fuori Berlusconi. L’articolo a firma di Roberto Scafuri:

“Il cavallo di battaglia, rispol­verato dopo tanti anni, contrad­dice quanto raccomandato da Napolitano in una recente no­ta: «Bisogna garantire a Berlu­sconi la partecipazione politi­ca ». Ma la possibilità di far fuori il Cav con un tratto di penna sembra tanto ghiotta da solleti­care appetiti ferini ( ieri è rispun­tato Di Pietro, io quello lo sfa­scio ). Così il primo atto di legisla­tura del capogruppo grillino, Vi­to Crimi, è stato l’annuncio del­la «fase propositiva: iniziamo con l’ineleggibilità di Berlusco­ni e i tagli alla casta, il nostro uffi­cio legislativo sta già lavoran­do ». Di rimando, Zanda ha con­cordato con Crimi e la Lombar­di, capogruppo M5S alla Came­ra, un incontro per oggi «sulle chiare posizioni» emerse, co­me ha riferito la Lombardi ai suoi.”

Bersani azzoppato dai suoi. In 97 gli votano contro. L’articolo a firma di Laura Cesaretti:

“Un primo segnale è arrivato ieri,con l’ondata di franchi tira­tori contro il candidato di Bersa­ni. «Ora- ironizza un parlamen­tare Pd- Napolitano potrà dirgli che non ha la maggioranza al Se­nato, ma neanche alla Camera. E quindi niente incarico». Una battuta, naturalmente, ma an­che la fotografia di una realtà che dà vistosi segni di poter sfug­gire al controllo del candidato premier. Che ieri, dopo un’al­tra notte di trattative, aveva tira­to fuori i nomi della coppia di candidati alla funzione crucia­le di capigruppo: Luigi Zanda al Senato e Roberto Speranza alla Camera. Zanda aveva dalla sua due carte:l’esperienza necessa­ria a gestire un Senato così in bi­lico, essendo stato per due legi­slature il vice della Finocchia­ro; e l’appartenenza alla corren­te di Dario Franceschini che an­dava risarcita. Aprendo la stra­da, nel Cencelli interno, ad un ex Ds a Montecitorio. Bersani ha proposto il nome di un suo fe­delissimo (Speranza, segreta­rio regionale della Basilicata, è stato a capo della sua campa­gna per le primarie), che essen­do giovanissimo e alla prima le­gislatura poteva chiudere la bocca a chi, dentro il gruppo, re­clamava a gran voce il «rinnova­mento ». Sbarrando così la stra­da al candidato dei «giovani Turchi» Andrea Orlando, navi­gatore assai più esperto nei me­andri parlamentari ma sospet­tato di potenziali intese col ne­mico Renzi.”