Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Prendi i soldi e ciancia”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 8 Giugno 2014 - 15:58 OLTRE 6 MESI FA

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Prendi i soldi e ciancia"ROMA – Marco Travaglio nel suo editoriale di oggi sul Fatto quotidiano parla degli scandali Expo e Mose e dei sistemi di corruzione che stanno venendo a galla.

Il guaio vero non è solo quello che i politici non fanno contro la corruzione, ma anche quello che non dicono. Il che fa pensar male comunque, perché delle due l’una: o hanno la testa vuota e non sanno di che cosa parlano, o lo sanno benissimo ma hanno la testa bacata. Prendiamo Renzi che, essendo appena arrivato, non dovrebbe avere nulla di personale da nascondere. Appena uno scandalo gli esplode in mano, se ne esce con dichiarazioni tonitruanti. Dopo il caso Expo annunciò “il Daspo per chi ruba”. Risultati concreti: zero assoluto. Dopo il caso Mose, la spara ogni giorno più grossa. Mercoledì è “turbato”.

Giovedì vuole incriminare i corrotti per “alto tradimento”. Venerdì li vuole “fuori dalla politica”, mentre i suoi giannizzeri fingono di non conoscere il sindaco Orsoni per la decisiva ragione che non s’è iscritto al Pd che l’ha candidato, fatto eleggere e sostenuto per quattro anni. Ieri si accorge che forse Orsoni c’entra col Pd e promette di “mandare a casa i ladri a calci nel sedere”. Oggi dirà che vuole prenderli a ceffoni. Domani che gli sputerebbe in faccia. Dopodomani che meritano una bastonata in testa e pure qualche cinghiata. Poi che li cospargerebbe di miele e li lascerebbe lì sotto il sole legati a un albero infestato di formiche rosse.

Chi offre di più? Tanto è tutto gratis. Intanto giovedì il nuovo ddl anti-corruzione (già necessario visto che il precedente, detto comicamente Severino, partorito 16 mesi fa dal governo Monti e votato dagli stessi partiti che sostengono ufficialmente o ufficiosamente il governo Renzi, è un colabrodo) era pronto per il voto in commissione e l’approdo nell’aula della Camera martedì, magari completato e inasprito con emendamenti del governo. Ma Renzi l’ha bloccato, annunciandone uno nuovo di zecca che ancora non c’è, però garantisce che arriva venerdì (non si sa ancora a che ora).

Così la rumba riparte da zero e se ne riparla fra qualche mese. Tutti sanno che l’azzeramento l’ha imposto B. da Cesano Boscone, non volendo sentir parlare di falso in bilancio e minacciando di bloccare la boiata del Senato. Ma Renzi racconta che “il rinvio è stato una mia scelta” perché “occorre una duplice risposta, strutturale e culturale assieme”. Perbacco. “Bisogna ripartire dall’emergenza educativa”. Perdindirindina. “Cambiare radicalmente il processo amministrativo, l’impostazione della procedura”. Ah bè, allora.

Quindi se politici, imprenditori, funzionari, amministratori, manager, tecnici e alti ufficiali rubano sempre su tutto, collezionano Tintoretto e Canaletto, seppelliscono milioni nell’orto, scrivono pizzini su carta commestibile per poi mangiarseli a colazione, è perché sono poco educati, culturalmente svantaggiati, strutturalmente traviati dalle procedure. L’idea che le grandi opere servano soltanto a far girare soldi da rubare per sfamare la Banda Larga e che gli onesti siano pochi deviati infiltrati in un sistema fondato sulla razzia, non sfiora Renzi né i cervelloni che lo circondano. Infatti continuano a trattare la corruzione come un incidente di percorso, un’eccezione di poche mele marce (i famosi “ladri” che, beninteso, diventano tali solo in Cassazione, ergo ci rivediamo fra 10 anni).

E, anziché fermare la rapina, spaccano il capello in quattro tirando in ballo la burocrazia e l’educazione, disquisendo su tesserati e non, o addirittura (la Moretti, che Dio la perdoni) sulla minor gravità del finanziamento illecito di Orsoni rispetto alla corruzione di Galan. La scena ricorda Prendi i soldi e scappa, con Woody Allen che tenta di rapinare la banca consegnando all’impiegato un bigliettino con scritto “Agite con calma, siete sotto tiro”. Ma l’altro non capisce perché legge “apite con calma, siete sotto giro”. Allora si apre un ampio e articolato dibattito fra decine di persone sulla lettera g che sembra una p e sulla t che pare una g, fino alla scena finale dell’aspirante ladro in guardina, condannato su due piedi a 10 anni di galera, senza attenuanti, prescrizioni, indulti, servizi sociali. A noi manca giusto il finale. Sempre.