Nuova influenza Aviaria, perché il virus H5N8 può scatenare un’altra pandemia?

La pandemia da coronavirus è ancora in corso, ma nuovi agenti virali, tra coronavirus chimera e virus dell’influenza aviaria, stanno emergendo e sono stati intercettati in alcuni Paesi e hanno provocato nell’uomo i primi casi, trasmessi da animali. Un fenomeno che impone, secondo i ricercatori di tutto il mondo, la necessità urgente di avviare ora una sorveglianza globale dei virus aviari negli allevamenti, mercati e tra gli uccelli selvatici da un lato, e parallelamente di studiare la diffusione di nuovi coronavirus.

Virus Aviaria H5N8, si rischia altra pandemia?

Il primo allerta arriva sulla rivista Science dai ricercatori dalla cinese Shandong First Medical University, per il virus dell’influenza aviaria H5N8, che si è ormai diffuso in Asia, Europa e in Africa e che nel dicembre scorso ha provocato il primo caso nell’uomo. E’ stato identificato negli uccelli selvatici e nel pollame in almeno 46 Paesi, con focolai epidemici che hanno portato alla morte e all’abbattimento di milioni di uccelli nel mondo, e ad un caso di salto di specie in Russia, dove sette lavoratori di allevamenti di pollame sono risultati positivi al virus H5N8.

Nuove varianti di coronavirus in Malesia e Haiti

Per quanto riguarda invece i coronavirus, sono stati identificati in Malesia e ad Haiti due nuovi tipi capaci di contagiare l’essere umano, anche se non è dimostrata la loro trasmissione da uomo a uomo. Per la precisione, i ricercatori dell’Ohio State University hanno trovato un alfacoronavirus nei campioni di 8 bambini positivi a un virus simile a quello del cane e del gatto.

“Per un paziente si è riusciti a fare il sequenziamento genetico, mentre i virus rimanenti erano abbastanza diversi tra loro. Per questo è difficile pensare a un unico ceppo di virus: può darsi che siano state più infezioni ripetute con ceppi diversi. Inoltre non è detto che l’animale serbatoio sia stato un cane o un gatto. Potrebbe essere stato anche un carnivoro selvatico”, dice all’ANSA Vito Martella, virologo veterinario dell’Università di Bari.

Quella del paziente malese è la prima segnalazione che suggerisce che un coronavirus di tipo canino possa replicarsi nell’uomo, anche se ulteriori studi dovranno confermarlo. “Le infezioni umane da coronavirus canini possono essere più frequenti di quanto finora pensato. Questo particolare virus non si trasmette tra uomini, ma non lo sappiamo con certezza”, commenta Anastasia Vlasova, coordinatrice dello studio.

Nell’altro studio (che però deve essere ancora validato dalla comunità scientifica) i ricercatori dell’Università della Florida hanno invece trovato le tracce di un deltacoronavirus suino nel plasma di 3 bambini haitiani, che nel 2014-2015 avevano avuto febbri di origine non chiara. Questo coronavirus è simile a delta coronavirus aviari. “La cosa da chiarire è che si tratta di dati preliminari, e che per nessuno dei due coronavirus – prosegue Martella – si è dimostrata la trasmissione da uomo a uomo. Bisognerà verificare se il fenomeno è confermato in altre parti del mondo”.

E’ molto importante inoltre, vista la rapida diffusione globale del nuovo virus dell’influenza aviaria e la sua capacità di oltrepassare le barriere di specie e di trasmettersi all’essere umano, che i paesi abbiano come priorità globale la sorveglianza di questi virus aviari altamente patogenici negli allevamenti, nei mercati e tra gli uccelli selvatici. 

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