Ospedali. Agenas: da Lombardia, Piemonte, Emilia, a Lazio, Campania, Sicilia

di Redazione Blitz
Pubblicato il 15 Agosto 2013 - 12:15 OLTRE 6 MESI FA
Ospedali. Agenas: da Lombardia, Piemonte, Emilia, a Lazio, Campania, Sicilia

Ospedali. Agenas: da Lombardia, Piemonte, Emilia, a Lazio, Campania, Sicilia

ROMA – I migliori e i peggiori ospedali d’Italia, secondo uno studio condotto dalla  Agenzia per i servizi sanitari (Agenas) e sancito dal Ministero della Salute. L’analisi è del 2011 ed è stata compiuta incrociando i dati del Sistema informativo ospedaliero, in cui confluiscono le informazioni su tutti i ricoveri registrati in Italia, e quelli dell’Anagrafe tributaria.

Il quotidiano Libero pubblica a puntate i risultati dell’indagine, con una serie di tabelle con graduatorie di migliori e peggiori, mentre il Quotidianosanità.it ha dedicato più titoli alla analisi condotta da Luciano Fassari ed Ester Maragò,  regione per regione.

La puntata di Ferragosto di Libero è dedicata ai

“migliori ospedali in Emilia, Liguria, Sardegna, Toscana, Puglia e Campania”

ed è stata commentata d Alessandro Giorgiutti.

Due fotografie, una scattata in Toscana, l’altra in Campania. Nella prima, non si vede nessun ospedale che, considerando i dati sulla mortalità a trenta giorni dopo il ricovero per un infarto miocardico acuto o per un ictus, presenti percentuali superiori alla media nazionale. Che è, rispettivamente, del 10,3 e dell’11,6 per cento. Quanto agli infarti, si va dal 7,3 per cento del “Piana” di Lucca al 4,5 per cento (primato regionale) dell’ospedale civile di Carrara. Per quanto riguarda l’ictus, invece, si scende dal 7,9 per cento del fiorentino Careggi al 5,3 per cento con cui primeggia, ancora una volta, l’ospedale di Carrara.

Dalla Toscana alla Campania, i risultati si rovesciano. A Caserta e a Napoli, purtroppo, ci sono due degli ospedali italiani peggiori quanto a mortalità post ricovero per infarto: un tasso del 21,8 per cento al “San Giuseppe e Melorio”, del 20,5 per cento al “San Paolo”. In Italia, solo il “San Giovanni Evangelista” di Tivoli, col 24,6 per cento, fa peggio di loro.

E per gli ictus? Anche qui, a livello nazionale, dopo il barese “Di Venere” (37,4 per cento), i peggiori nosocomi sono il “Maresca”di Torre del Greco(34,2per cento) e la casa di cura “Pineta grande”di Castel Volturno (33 per cento). Ma ai vertici di questa poco commendevole classifica troviamo anche altre due strutture, a San Giugliano e ad Acerra. Eppure la Campania vanta anche due ospedali che si piazzano al secondo e  al terzo posto nella classifica nazionale dei più “virtuosi”: solo il 3,2 per cento dei pazienti ricoverati dopo un infarto perde la vita nei trenta giorni successivi al ricovero all’ospedale “Santa Maria della Speranza” di Battipaglia (la media nazionale, ricordiamo, è del 10,3); tasso solo leggermente più alto, il 3,3 per cento, al “San Giovanni di Dio” di Frattamaggiore…

Queste costanti (ottime prestazioni, e generalizzate, da una parte; inefficienze diffuse e qualche isola virtuosa dall’altra) si ripetono sostanzialmente anche, rispettivamente, in Emilia Romagna e in Puglia. Oltre a quelli delle regioni citate, oggi Libero pubblica anche i dati relativi a Liguria e Sardegna. La fonte è l’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali che mette ogni anno sotto esame gli oltre mille ospedali italiani, basandosi sui dati del Sistema informativo ospedaliero e dell’Anagrafe tributaria. L’analisi relativa al 2011 (gli ultimi dati disponibili), resa pubblica da Libero, ha sollevato anche qualche critica. Alcune strutture ci hanno scritto, mettendo in rilievo i limiti nella raccolta dati.

Secondo il capo del Dipartimento di Cardiochirurgia della casa di cura “Villa Bianca”di Bari, per esempio, le schede di dimissione ospedaliera (Sdo), sulle quali si basa lo studio dell’Agenas, non offrono una ricostruzione esaustiva della storia clinica del malato. Mentre il direttore di Cardiochirurgia degli “Ospedali Riuniti Papardo- Piemonte”sottolinea che la mortalità che si riscontra in una struttura è un dato poco significativo se non confrontato con la “mortalità attesa”dei pazienti che vengono curati. Il rischio, insomma, è quello di premiare strutture che non accolgono alcune tipologie di malati, più difficili da curare.

Va aggiunto, tuttavia, che la stessa Agenas afferma di tenere nel debito conto ‘alle possibili disomogeneità esistenti nelle popolazioni studiate, dovute a caratteristiche quali età, genere, gravità della patologia in studio, presenza di comorbidità croniche, etc.’. Inoltre, quando una serie di dati presenta un rischio di errore troppo elevato, questi vengono giudicati statisticamente non significativi: ecco perché molti ospedali non li trovate in classifica.

La puntata del 14 agosto, sui

“migliori ospedali in Lombardia Piemonte, Veneto Lazio e Sicilia”

è stata curata da Edoardo Cavadini.

Dopo aver pubblicato la lista dei dieci migliori e peggiori ospedali d’Italia per la cura delle malattie che colpiscono più frequentemente gli italiani (infarto, ostruzione aortica, ictus, calcoli e frattura del femore), abbiamo deciso raccontare la realtà ospedaliera regione per regione così come emerge dall’immensa mole di dati elaborati dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari.

Ecco allora che Lombardia, Veneto, Piemonte, Lazio e Sicilia svelano i propri “fiori all’occhiello” ma i numeri – manco a dirlo – abbattono i luoghi comuni che vorrebbero il nome del grande nosocomio e istituto di ricerca collocato nelle prime posizioni della classifica.

E invece, così come era capitato per le 50 posizioni assolute, anche compulsando i valori delle singole realtà locali emerge come le posizioni migliori, in termini di bassi tassi di mortalità postoperatoria e tempi di attesa “umani” per un intervento, se le siano aggiudicate strutture periferiche. Non mancano certo i colossi, come il Monzino di Milano, specializzato nelle cure cardiovascolari, che è tra i primi in Lombardia per ridotto numero di decessi dopo gli infarti acuti, ma la palma di miglior centro per l’Agenas se l’aggiudica l’ospedale di Legnano, seguito da una clinica milanese e dall’ospedale di Vigevano.

I grandi centri di eccellenza meneghini (San Raffaele e Sacco) si confermano invece all’avanguardia per la cura dell’ictus, con tassi di mortalità significativamente più bassi della media nazionale. In generale però, sembra valere il sorprendente principio per cui più il centro è piccolo e legato alla provincia, più è efficiente e virtuoso nelle prestazioni. Una regola però in contrasto con il senso comune e che – come si legge nell’intervista a fianco al responsabile della Cardiochirurgia del Policlinico di Monza – potrebbe essere smontata dalla logica: un paziente affetto da una patologia grave sarà portato a recarsi in una struttura grande, consolidata e dalla reputazione nazionale o si “accontenterà” del piccolo centro a pochi chilometri da casa? La risposta è ovvia, e si porta dietro una conseguenza altrettanto scontata: un grande ospedale, gravato da centinaia di casi di persone gravi che vengono da altre regioni, plausibilmente avrà a che fare con un numero di decessi maggiore rispetto ad altri.

Tornando alle prestazioni e alle valutazioni dell’Agenas, spiccano le sperequazioni all’in – terno delle stesse regioni. Nel Lazio, ad esempio, accanto al Vannini di Roma che ha un tasso di mortalità per infarto dimezzato rispetto alla media nazionale, ci sono strutture a Pomezia e Tivoli in cui il valore invece è doppio e in un caso quasi triplicato(….)

Il Veneto spicca invece in positivo per i tempi di attesa per le fratture del collo del femore, patologia che colpisce in primis le persone anziane: anche qui, però, si aggiudicano la palma d’oro strutture periferiche: Abano Terme, Portogruaro, San Donà di Piave, e solo dopo arrivano Rovigo e Vicenza.

I giudizi dell’Agenas(…) non sono particolarmente lusinghieri con le strutture della Sicilia per nessuna delle cinque patologie prese in considerazione. In particolare tassi di mortalità e tempi di attesa sono più elevati che altrove in tutti gli ospedali, fatte salve alcune sacche di efficienza a Catania e Palermo.

Anche in Piemonte la situazione presenta luci e ombre, con una specificità: l’Agenas non ha ritenuto di fornire dati sulle strutture (né in positivo né in negativo) per il trattamento del bypass aortico e questo perché l’errore statistico era troppo elevato.