
Sinestesie, perché vediamo i suoni e sentiamo i colori? Non "potiamo" le connessioni che non ci servono più
“A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali!”: maledetto quanto si vuole, Arhur Rimbaud ha offerto il manifesto poetico più esplicito della percezione sinestetica. Che poi, come i veri sinestetici, vedesse davvero la U di smeraldo vestita oppure fu soccorso dal ricordo del primo abbecedario che, bambino, gli capitò sotto gli occhi, non lo sapremo mai.
Sappiamo, tuttavia, con sempre maggiore chiarezza scientifica, che numeri colorati e melodie saporite non popolano solo le metafore di poeti e narratori: assemblare percezioni sensoriali diverse è una condizione che si ritiene colpisca circa il 4% della popolazione.

Secondo una fredda ma non aggirabile logica clinica, dobbiamo chiamarla una forma di deficit sensoriale, non cognitivo, una specie di mancanza: la percezione sinestetica dipende cioè dall’incapacità di eliminare le connessioni che con il passare del tempo sono diventate inutili.
Ci si culla pigramente abbandonandosi al profumo del suono di una tromba, o al basso continuo di un azzurro terso, perché abbiamo trascurato le necessarie e quotidiane cure domestiche nella casa delle sensazioni.
Fenomeno sensoriale, non cognitivo
“È un fenomeno sensoriale, non cognitivo, e molto comune in campo artistico”, osserva Ernesto Carafoli, dell’Università di Padova e fra gli organizzatori del convegno sulla sinestesia in corso all’Accademia dei Lincei.
Il convegno, ha aggiunto, è l’occasione di fra dialogare su questo tema interdisciplinare le due classi dell’Accademia: quella di scienze fisiche e quella di scienze umanistiche. La sinestesi, che fra gli artisti può raggiungere una diffusione del 30%, è una condizione neurologica nota da almeno 150 anni, nella quale stimoli sensoriali di una determinata modalità, ad esempio acustica o visiva evocano automaticamente una reazione sensoriale di modalità diversa, ad esempio gustativa.
“L’ipotesi più accettata sull’origine della sinestesia è un deficit nel processo di ‘pruning’, ossia ‘potatura’”; osserva Giacomo Rizzolatti, linceo e dell’Università di Parma, riferendosi al fatto che “già nel primo anno di vita c’è un enorme taglio di connessioni” e che questo processo prosegue fino all’adolescenza.
“Solo le connessioni utili permangono, ma nel sinesteta – osserva – restano invece anche connessioni non necessarie ed apparentemente inutili”. Questa condizione può diventare patologica in alcuni casi, come l’autismo, la sindrome di Asperger o la sindrome Savant.