
Storia millenaria della peste nera. Scoperto il gene che ne ha consentito la sopravvivenza nei secoli (foto Ansa-Blitzquotidiano)
“Non bastando la terra sacra alle sepolture, si facevano per cimiteri le chiese, nelle quali a centinaia si mettevano i sopravvenenti ed in quelle stivati come si mettono le mercanzie nelle navi, con poca terra si ricoprieno”. Nel proemio del Decameron, Giovanni Boccaccio descrive così l’impatto della peste nera del 1348, una specie di compendio fisico-naturale di un più generale decadimento morale della società fiorentina del tempo.
Erano ancora tempi in cui si procedeva ciechi nell’affrontare il grande morbo, e forse Boccaccio pecca di un eccesso di severità: il morbo, mentre mieteva vittime spopolando intere regioni, si andava evolvendo, diventava meno aggressivo per durare di più consentendo ai contagiati di morire meno per contagiare di più.
Il gene pla del batterio Yersinia pestis
Grazie a un unico gene. La peste è riuscita a instaurare un regno di terrore durato secoli proprio all’intelligenza biologica di questo gene, che si è evoluto rendendo il batterio meno aggressivo ma più facilmente trasmissibile anche in ambienti con una ridotta popolazione di ratti.

Lo indica sulla rivista Science lo studio coordinato da Javier Pizarro-Cerdá dell’Istituto Pasteur di Parigi e da Hendrik Poinar, il genetista della McMaster University (Canada) che 14 anni fa ha pubblicato la prima mappa del Dna della Peste Nera.
Anche se gli studi storici tendono oggi a circoscrivere e ridimensionare il dato di eccezionalità della peste nera, nella storia umana sono state documentate tre pandemie principali che danno luogo a periodizzazioni ormai assodate.
La prima, conosciuta come la Peste di Giustiniano, è scoppiata nel bacino del Mediterraneo nel VI secolo. La seconda pandemia, la cosiddetta Morte Nera, è emersa nel XIV secolo sterminando il 30-50% della popolazione europea, e poi è ricomparsa a più riprese in Europa per oltre 500 anni.
Infine la terza pandemia è partita dall’Asia nel 1850 e si è diffusa in tutti i continenti: ancora oggi persiste con un basso numero di casi localizzati in Uganda, Congo, Stati Uniti e Mongolia.
La pericolosità del batterio Yersinia pestis è dovuta a diversi fattori tra cui il gene pla: presente con un alto numero di copie, consente al batterio di raggiungere i linfonodi per moltiplicarsi prima di diffondersi al resto del corpo, causando una rapida setticemia.
Nelle fasi tardive del contagio diminuisce il numero di copie del gene
Studiando centinaia di campioni di antiche vittime di peste, i ricercatori della McMaster University hanno riscontrato una diminuzione del numero di copie del gene pla nelle fasi tardive della prima e della seconda pandemia.
A supporto di questa osservazione, gli scienziati dell’Istituto Pasteur hanno studiato la terza pandemia di peste, testando ceppi attuali da campioni conservati in una collezione dell’istituto: hanno così individuato tre campioni di Y. pestis rinvenuti in Asia negli anni ’90 in cui il numero totale di geni pla era diminuito.
Nei modelli murini di peste bubbonica, i ricercatori hanno scoperto che la diminuzione del numero di copie del gene pla porta a una riduzione del 20% della mortalità e a un aumento della durata dell’infezione nei roditori colpiti, il che significa che quelli infetti vivono più a lungo potendo così tramettere la malattia a un maggior numero di individui.
“La ridotta virulenza potrebbe conferire al bacillo un vantaggio selettivo all’interno di una ridotta densità di popolazione”, spiega Javier Pizarro-Cerdá. Questa evoluzione genetica si è verificata in modo casuale e indipendente in ogni ondata di peste e ha portato a una riduzione della virulenza che è probabilmente responsabile della fine delle pandemie.