Cereali contaminati, l’allarme TFA nei cibi più comuni e il rischio invisibile (foto ANSA) - Blitz quotidiano
Ogni mattina milioni di europei iniziano la giornata con un gesto semplice e ripetuto: versare una ciotola di cereali, affettare una fetta di pane, preparare pasta o biscotti per i più piccoli. Questi alimenti, considerati basilari e innocui, nascondono però una minaccia chimica quasi impercettibile: l’acido trifluoroacetico (TFA).
A mettere in luce questa criticità è un nuovo rapporto condotto da PAN Europe (Pesticide Action Network), la prima indagine sistematica su larga scala dedicata al TFA nei prodotti a base di cereali. Lo studio ha analizzato 66 alimenti provenienti da 16 Paesi europei, includendo farina, pane, pasta, biscotti e persino dolci tradizionali, con l’obiettivo di individuare eventuali contaminazioni di questa sostanza persistente.
Il risultato è allarmante: l’82% dei campioni contiene tracce di TFA, un composto appartenente alla famiglia dei PFAS, i cosiddetti “inquinanti eterni”. Si tratta di una molecola che non dovrebbe comparire negli alimenti, ma che si forma come prodotto di degradazione di pesticidi fluorurati e di alcuni gas refrigeranti industriali. Una volta dispersa nell’ambiente, si accumula con estrema facilità e entra nella catena alimentare senza degradarsi, rendendo la contaminazione alimentare un problema diffuso e spesso invisibile.
I risultati: concentrazioni oltre i valori precauzionali
Secondo lo studio, il TFA è stato rilevato in 54 dei 66 campioni analizzati. La concentrazione media è risultata pari a 78,9 microgrammi per chilogrammo, ma in alcuni casi — come nei cereali per la colazione irlandesi — i livelli hanno raggiunto picchi di 360 microgrammi per chilogrammo. Tutti i campioni contaminati superano il valore di riferimento precauzionale di 0,01 milligrammi per chilogrammo, normalmente applicato alle sostanze tossiche per la riproduzione.
I ricercatori sottolineano inoltre che l’alimentazione rappresenta una via di esposizione significativa: i livelli medi rilevati nei cibi risultano fino a 107 volte superiori rispetto a quelli riscontrati nell’acqua potabile. Questo dato mette in luce un rischio più esteso del previsto, legato alla diffusione ambientale dei PFAS e al loro accumulo nei terreni agricoli.

Grano sotto osservazione: perché trattiene più TFA
Dall’analisi emerge che i prodotti a base di grano sono particolarmente predisposti ad accumulare TFA. Pane, pasta, farine e biscotti mostrano livelli superiori rispetto ad altri cereali, suggerendo che il grano assorba più facilmente la sostanza dal suolo e dall’acqua.
Accanto ai cereali irlandesi, tra i campioni più contaminati figurano il pane integrale belga e quello tedesco, entrambi con concentrazioni elevate. Questa tendenza non riguarda solo i processi industriali, ma riflette anche aspetti biologici della pianta, che sembra comportarsi come un “vettore” efficace di ingresso del TFA nella dieta quotidiana. Il quadro delineato dallo studio indica una contaminazione ambientale diffusa, che si riflette direttamente sugli alimenti più consumati in Europa.
Rischi per la salute e come ridurre l’esposizione
Il TFA è altamente stabile e solubile, caratteristiche che ne favoriscono la mobilità nell’ambiente e la persistenza nel tempo. Studi tossicologici indicano potenziali effetti sullo sviluppo, sulla riproduzione, sul sistema endocrino e sul fegato. Per queste ragioni, diverse agenzie scientifiche tedesche hanno raccomandato di classificare il composto come tossico per la riproduzione.
Anche l’EFSA e l’ECHA stanno approfondendo la questione, mentre l’OMS ha incluso i PFAS — TFA compreso — nella revisione delle linee guida sulla qualità dell’acqua potabile.
In attesa di nuove regolamentazioni, i consumatori possono ridurre l’esposizione variando la dieta, alternando diverse fonti di cereali e privilegiando prodotti provenienti da filiere controllate o biologiche, che non prevedono l’uso di pesticidi fluorurati. Informarsi sulla qualità dell’acqua e, se necessario, utilizzare filtri adeguati può contribuire a diminuire ulteriormente il rischio. Tuttavia, gli esperti ribadiscono che solo controlli più severi e politiche ambientali più rigorose potranno affrontare realmente il problema degli “inquinanti eterni”.
