La religione degli italiani: “I fatti miei”. Per l’85% è l’unico “dio”

foto Lapresse

ROMA – «L’Italia è stato sempre un Paese di individualisti. La stessa crescita economica degli ultimi decenni è nata dal desiderio di mettersi in proprio e progredire. Questo fenomeno – tuttavia – è stato accompagnato da una politica che ha accettato, a fronte della crescita e dello sviluppo, di chiudere un occhio su molte regole. Esistevano, però, allora, vari fattori di coesione sociale che ci consentivano di arginare gli eccessi di questa deriva: la famiglia, la scuola, i partiti, la chiesa. Quando tutto questo è saltato, gli italiani sono stati esposti – senza difese e senza antidoti – a tutte le sollecitazioni della modernità: Internet, i social network, la forte competitività, i raffronti con modelli irraggiungibili, la conflittualità sociale. Lo stress è stato terribile: in qualcuno ha scatenato l’aggressività, in qualche altro la depressione, in molti l’alienazione». Questa la sintesi che fa il direttore del Censis Giuseppe Roma. Sintesi di un’indagine condotta dall’istituto di ricerca, intitolata «La crescente sregolazione delle pulsioni» e presentata a Roma. In parole povere la regola aurea dell’italiano è oggi: faccio quello che mi pare.

Individualismo spinto all’estremo, insofferenza per le regole se non totale non accettazione delle stesse, attenzione centrata esclusivamente sui propri bisogni e sul proprio tornaconto personale, fino al punto di alzare la voce e le mani. Questa è la nuova morale degli italiani che emerge dallo studio condotto dal Censis per cercare di capire le ragioni che hanno portato a un aumento negli ultimi 5 anni delle minacce e delle ingiurie del 35,3%, delle lesioni e delle percosse del 26,5% e dei reati sessuali dell’ordine del 20%.

La ratio che governa l’agire degli italiani è che ognuno è arbitro unico e solo dei propri comportamenti: decido io cosa è meglio fare e non ci sono giudici e regole che tengano, siano esse vere e proprie leggi o regole morali e sociali. Così la pensa l’85,5% degli italiani. Le regole, ovviamente, ci sono ma possano essere aggirate in molte situazioni. E sono i vertici delle istituzioni a dare l’esempio in questo senso, dalle moratorie, agli slittamenti, alle deroghe, fino ai condoni. O, invertendo la lettura, sono i nostri vertici istituzionali a rappresentare degnamente quella che è una realtà diffusa e pervasiva della nostra società. Che venga dal basso o che venga dall’alto la realtà non cambia, il nostro Paese è allergico alle regole e con lui lo sono i nostri dirigenti politici.

Se uno vuole divertirsi non può fare a meno di eccedere e trasgredire, così la pensa il 44,8% del campione. E visto che viviamo in un mondo di prepotenti, anche se prepotenti lo diventiamo proprio perché non tolleriamo le regole e riteniamo di essere gli unici giudici del nostro agire, è accettabile e ammesso difendersi anche con le cattive maniere per il 46,4% degli intervistati. Percentuale che però sale al 61,3% nelle grandi città, dove i conflitti sono più esasperati. E se questo vale per le leggi civili, figuriamoci per quelle morali. A far rispettare queste ultime non contribuisce nemmeno la paura di una sanzione, almeno terrena. Tra chi si dice cattolico, per esempio, la doppia morale è la regola. E subito ai maligni verranno in mente tutti quei politici pronti a salire sul palco del family day avendo in realtà due mogli, tre ex mariti e sette amanti.

Per raggiungere i propri fini bisogna poi accettare i compromessi, cioè bisogna essere disposti a sporcarsi le mani, secondo il 46,4%. La morale sessuale poi lascia il tempo che trova per il 63,5% degli intervistati, che diventa 80% tra i giovani. In pratica non conta niente per nessuno.

Questo eccesso di individualismo rende, in molti casi soli ed espone gli italiani a nuove dipendenze e vecchie fragilità psicologiche. E se diminuisce in generale il consumo di sostanze stupefacenti (tra il 2008 e il 2009 i consumatori sono calati del 25,7%, passando da 3,9 milioni a 2,9 milioni circa), anche se non quello della cocaina tant’è che sono aumentati del 2,5% i coicainomani in carico ai Sert, è invece in crescita il consumo di bevande alcoliche tra i giovani, che si ubriacano regolarmente in misura del 16,6% (oltre un milione in termini assoluti), 1,7% in più rispetto allo scorso anno. Come in crescita è il consumo di antidepressivi: le dosi giornaliere sono più che raddoppiate dal 2001 al 2009, passando da 16,2 a 34,7 per 1.000 abitanti, ovvero segnando un preoccupante incremento del 114,2%.

Anche un fenomeno in sé positivo, come i social network, dice il Censis, può celare un sintomo di malessere: la difficoltà a stabilire relazioni reali e la tendenza a sostituirle con quelle virtuali. Dal settembre 2008 al marzo 2011 gli utenti di Facebook sono passati da 1,3 milioni a 19,2 milioni.

Ogni utente trascorre su Facebook mediamente 55 minuti al giorno, è membro di 13 gruppi, e ogni mese «posta» 24 commenti, invia otto richieste di amicizia, diventa fan di quattro pagine e riceve tre inviti ad eventi. La medesima fragilità si esprime nella difficoltà ad accettarsi per quello che si è, e così nel 2010 sono stati circa 450mila gli interventi di chirurgia estetica effettuati in Italia. Anoressia e bulimia sono le prime cause di morte tra le giovani di 12-25 anni, e ne sono colpite circa 200mila donne.

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