Grazie a un team internazionale di ricercatori che ha visto coinvolto, per l’Italia, il Bambino GesĆ¹ di Roma, ĆØ stata scoperta una nuova malattia genetica ultra-rara che ad oggi conta solamente circa 20 casi in tutto il mondo e che finora era stata scambiata per una grave forma allergica. Si tratta invece di una immunodeficienza congenita identificata per la prima volta grazie allo studio multicentrico internazionale coordinato dal British Columbia Children’s Hospital di Vancouver (Canada), di cui fa parte per l’Italia l’Ospedale Pediatrico Bambino GesĆ¹. Il lavoro che ha dato un volto a questa malattia, scoprendone anche la causa genetica alla base, ĆØ stato pubblicato sul Journal of Experimental Medicine.
La scoperta della nuova malattia ultra-rara
La creazione del Consorzio ĆØ stata fondamentale per mettere insieme e condividere i dati di un gruppo di pazienti con caratteristiche cliniche simili, associate allo stesso difetto genetico. Senza questa unione di forze senza confini una malattia cosƬ rara rimarrebbe nascosta dalla difficoltĆ di trovare un numero apprezzabile di pazienti. L’individuazione della malattia e delle sue specifiche cause genetiche ha giĆ consentito di adottare con successo nuove strategie terapeutiche, spiega Caterina Cancrini, responsabile dell’UnitĆ Clinica e di Ricerca delle Immunodeficienze Primitive afferente all’UnitĆ Operativa Complessa di Immunologia Clinica e Vaccinologia dell’Ospedale.
Cosa dice lo studio
Lo studio ha coinvolto 16 bambini/giovani con un comune quadro clinico caratterizzato da grave allergia, infezioni ricorrenti, dermatite atopica e asma, consentendo di identificare mutazioni nel gene STAT6, che svolge un ruolo cruciale per la formazione di un tipo di cellule del sistema immunitario, i linfociti T, coinvolti principalmente nella risposta allergica. Nonostante i sintomi principali possano mimare una condizione di grave allergia, L’anomalia di questo gene comporta alterazioni della regolazione del sistema immunitario. Nello specifico il Bambino GesĆ¹, unico centro italiano ad aver partecipato allo studio, si ĆØ occupato del monitoraggio di uno dei 16 pazienti e degli studi che hanno portato a chiarire il meccanismo alla base. Il paziente seguito fin dai primi anni di vita ha potuto ricevere una diagnosi definitiva in etĆ adulta.