Matteo Renzi tiene ai voti degli ultras, dopo elezioni vedremo: chi li tocca più

di Sergio Carli
Pubblicato il 6 Maggio 2014 - 08:00 OLTRE 6 MESI FA
Ultras, niente paura: Matteo Renzi non vuole perdere i vostri voti

Genny ‘a carogna tratta con le autorità per autorizzare Fiorentina-Napoli. La foto, che ha fatto il giro del mondo, è il simbolo del caos di valori in Italia

Perché gli ultras, i teppisti degli stadi di calcio sanno di poterla fare sempre franca? Leggete le parole di Matteo Renzi, grande rottamatore e riformatore, e capirete. Se parla così il primo ministro della Repubblica italiana, al quale, ancorché nemmeno deputato, il suo partito, il Pd, Partito democratico, ha affidato la guida della nostra sempre più sgangherata Italia, non ci si devono fare troppe illusioni. Cosa si aspettavano i cittadini dal loro primo ministro? Un preciso impegno, subito e non dopo le elezioni, a farla finita con i violenti con misure decise, con pieno sostegno a Polizia e Carabinieri, senza esitazioni né ambiguità. Che Renzi non lo capisca non è solo sintomo della sua inadeguatezza, ma è il segno tangibile del declino della autorità dello Stato in Italia. Forte con i deboli, al punto da spingere al suicidio decine di imprenditori nei guai con il Fisco. Incapace di imporsi a bande di teppisti, per un pugno di voti. Dice una cosa più che di buon senso bisogna “far rispettare le regole, non le regole. Le misure di sicurezza oggi già ci sono”. Ma poi parla come un commentatore qualunque, non il primo ministro: “Personalmente credo sia stato un errore che si sia deciso di andare a parlare con i tifosi, coinvolgere le tifoserie. Bisognava partire e giocare”. Perché non lo ha detto quando era in tribuna d’onore all’Olimpico? Chi perdeva il posto se, con una iniziativa unilaterale, lo stadio si fosse trasformato in una bolgia con morti e feriti? Il problema, come si diceva una volta, è a monte, è sempre a monte. Se gli ultrà sentono il polso debole, fanno come i criminali che dai Paesi dell’est vengono a svernare in Italia. Da loro sopravvivono gli apparati di sicurezza del comunismo, da noi, dicono, si può fare tutto. L’Italia tanto disprezzata di Cossiga e Andreotti non ha trattato con le Brigate rosse, quella di Matteo Renzi e Berlusconi tratta con Genny ‘a Carogna, come ha rilevato Marco Tardelli, che per sua fortuna vive a Londra. Ma che Daspo, per quelli ci vuole il codice penale, un bel po’ di carcere, come se non paghi l’Iva o passi col rosso. E un po’ più di copertura nei confronti delle forze dell’ordine, che in Italia, unico Paese al mondo, c’è invece l’abitudine di abbandonare al loro destino, anche da parte dei loro diretti superiori. Invece se ne parlerà dopo le elezioni, ma guarda un po’: la paura di perdere anche quei pochi voti di pochi o tanti teppisti organizzati lo paralizza. Niente annunci spot, grida Matteo Renzi che di annunci su Twitter spesso privi di senso e battute da bar degne del miglior Berlusconi si è fatto una seconda professione. Dal salotto tv di Bruno Vespa, Porta a Porta, giusta sede alternativa al Parlamento per un presidente del Consiglio extra parlamentare, ha ampliato il concetto: gli oneri per la sicurezza degli stadi non competono allo Stato ma alle società calcistiche. In base allo stesso principio, Ignazio La Russa, quando era ministro della Difesa, ha mandato i militari italiani sulle navi, mettendo le premesse per la via crucis dei marò Massimiliano Latorre  e Salvatore Girone. Destra o sinistra, tutti uguali, è un’intera classe politica da portare al macero, rottamatori o pseudo tali in testa.