Egitto, bagno di sangue, 525 morti. Fratelli Musulmani: “Le vittime sono 4500”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 15 Agosto 2013 - 08:53 OLTRE 6 MESI FA
Il tweet del portavoce dei Fratelli Musulmani

Il tweet del portavoce dei Fratelli Musulmani

ROMA – Mercoledì 14 agosto è stata una giornata di sangue in Egitto. Ci sono stati scontri in tutto il paese e nella notte è stato deciso il coprifuoco. Il ministero della Salute parla di 525 morti e di almeno 3500 feriti (ma per i Fratelli Musulmani i morti sono almeno 4500).

Il coprifuoco è durato tutta la notte e stando alle informazioni che arrivano dalla tv di stato non sarà limitato solo alla notte appena passata. Il Cairo, nelle ore centrali del coprifuoco scattato alle 19, è apparsa una città spettrale con i blindati dei militari che presidiavano le principali arterie intorno ai luoghi considerati strategici. I residenti armati di bastoni e machete hanno sorvegliato improvvisati check-point lungo le strade laterali. Completamente isolate piazze Rabaa, (definita dai Fratelli Musulmani “la nostra Tienanmen”) e Nahda, così come Tahrir.

I militari, insomma, puntano a tenere sotto controllo il Paese e non sembrano farsi troppi problemi a soffocare nel sangue le manifestazioni di protesta degli islamisti.

Secondo il portavoce Gehad El-Haddad, dopo lo sgombero delle piazze dei pro-Morsi al Cairo i morti accertati sarebbero 4500 e la conta, riferisce il portavoce su Twitter, prosegue.

Al momento, non è possibile verificare indipendentemente la notizia. “Oltre 1.000 morti si contano negli scontri fuori dal Cairo, in tutto il Paese”, aggiunge Gehad El-Haddad. Il bilancio ufficiale, fornito dal ministero della Salute egiziano, è di 525 morti (circa 40 sono poliziotti) e almeno 3500 feriti.

Lo stesso portavoce dei Fratelli Musulmani spiega la posizione degli islamisti: “Porteremo avanti la nostra protesta non violenta e pacifica. Andremo avanti finché non faremo cadere questo colpo di stato militare” e annuncia che organizzeranno nuove marce al Cairo nel pomeriggio di oggi 15 agosto. 

Al di là dei numeri, il quadro, resta incerto. Il presente è quello di un Paese che dalla caduta di Hosni Mubarak non ha mai davvero trovato un equilibrio e una pace stabile. E che ora è di nuovo sull’orlo, forse già dentro, la guerra civile. Basta la cronaca della giornata di martedì 14 agosto: l’esercito sgombera i sit in organizzati dai Fratelli Musulmani e arrivano le prime vittime. Il bilancio sale di ora in ora e al momento le vittime sono già più di 250. Poi c’è un governo, quello provvisorio tirato su dai militari dopo la deposizione di Mohamed Morsi, che già perde i pezzi. A dimettersi, nel pomeriggio di mercoledì 14 agosto, è stato il vicepremier liberale Nobel El Baradei, in polemica evidente con la svolta dura decisa dai militari: ”Mi è diventato difficile di proseguire ad assumere la responsabilità di decisioni con le quali non sono d’accordo” ha detto il premio Nobel.

Altri liberali presenti nel governo provvisorio non hanno seguito il suo esempio. Il primo ministro ad interim Hazem el-Beblawi ha parlato in tv di una “giornata difficile per l’Egitto “, aggiungendo che il governo non aveva altra scelta per evitare che l’anarchia si diffondesse.

Poi ci sono le banche chiuse per almeno una settimana. Annuncio della banca centrale d’Egitto che sa chiaramente di guerra civile in corso: sospese dal 15 agosto tutte le operazioni bancarie.

Quindi il coprifuoco, che se non è in tutto il Paese poco ci manca. Chiusi “per guerra”  undici governatorati egiziani: Cairo, Giza, Alessandria, Suez, Behera, Beni Suef, Qena, Assyut, Sohag (questi ultimi quattro nel sud), Nord Sinai e Sud Sinai. Ovvero tutti quelli in cui i Fratelli Musulmani sono numericamente più forti e più radicati.

Un mese di stato di emergenza deciso dai militari preoccupa Ue e Usa. Ma poche, pochissime, sono le esplicite reazioni di condanna. Solo gli Stati Uniti si dicono “fortemente contrari”: l’Onu ha invece chiesto la revoca dello stato di emergenza e l’avvio di una soluzione politica. Il premier turco Erdogan ha parlato di “un gravissimo massacro contro il popolo egiziano che non faceva altro che manifestare pacificamente”. Nelle dichiarazioni di tutti gli altri capi di Stato o diplomatici non si va oltre una “generica” preoccupazione e inviti più o meno espliciti a “rispettare i diritti umani”.

Nel frattempo la cronaca è quella di un Egitto che continua a essere in fiamme. Non si tratta di metafora: brucia, per esempio, la sede del ministero delle Finanze occupata da militanti pro-Morsi. Bruciano le piazze e le sedi dei sit in così come le chiese copte nella Valle del Nilo e nelle città di Minya, Sohag e Assiut, il cui papa Tawadros ha dato la benedizione al golpe militare che ha rovesciato Morsi. Difficile pensare che basteranno i coprifuoco a calmare le acque. Così come è difficile immaginare che militari e fratelli musulmani accettino in tempi brevi di dialogare. Lo scenario, insomma, è quella di una crisi appena cominciata in cui il peggio, purtroppo, forse deve ancora venire.