Haiti, i volontari italiani a Port-au-Prince: “Qui l’emergenza non è mai finita”

Pubblicato il 5 Gennaio 2011 - 16:24 OLTRE 6 MESI FA

”Si sentono dalle macerie le grida di aiuto. I parenti si disperano. Mancano le luci per illuminare la scena e continuare a scavare di notte. Non possiamo che attendere la mattina, ma questa notte è veramente nera per tutti noi”. Con queste drammatiche parole Fiammetta Cappellini, operatrice umanitaria della Fondazione Avsi, un anno fa da Port-au-Prince raccontò le ore immediatamente successive al sisma del 12 gennaio. Fu la prima ed unica voce da Haiti, in quei momenti, a comunicare con l’Italia, via skype, e dare immagini alla tragedia che aveva colpito l’isola caraibica.

Oggi, 5 gennaio, alla vigilia del primo anniversario di quell’evento, sempre dalla capitale haitiana dove ha lavorato per l’intero anno, Fiammetta è ancora una testimone e denuncia: l’emergenza resta ”grave”; le condizioni di vita ”sono lontane dall’essere accettabili”. Ottocentomila persone vivono nei campi provvisori senza acqua e servizi igienici adeguati.

”La ricostruzione vera e propria – dice all’ANSA – non è ancora cominciata” e per ultima c’è l‘epidemia di colera che, secondo le previsioni, non sarà sotto controllo prima di 2-3 mesi. Un grave rischio sanitario che, per l’operatrice, avrebbe bisogno di ”nuove risorse e nuovi appoggi per accompagnare la gente in modo opportuno. Invece siamo stanchi e provati da questa lunga difficile annata. Cerchiamo comunque di non perderci d’animo, nella certezza che la nostra serenità e lucidità possano fare la differenza”.

La Fondazione Avsi è ad Haiti dal 1999 per progetti socio-educativo e sicurezza alimentare. Nel 2010 ha sostenuto 45 mila persone. “Quel 12 gennaio 2010 è stato lo spartiacque della nostra vita”, sottolinea Fiammetta ricordando quei terribili momenti: ”Eravamo in ufficio. La prima scossa è stata fortissima. Abbiamo lasciato i locali ma le strade si sono rivelate una trappola”. Poi il dramma e il dolore, i morti, le macerie, le vite spezzate, i soccorsi.

Ma la strada è ancora in salita per gli haitiani: ”Molti problemi della vita quotidiana, e non solo, non hanno trovato una soluzione. La risposta umanitaria è stata importante ed immediata ma siamo lontani dall’aver dato risposte definitive e durevoli. La situazione resta precaria”. Per le strade ci sono ancora macerie (”i lavori di sgombero procedono a ritmo serrato ma la viabilità difficilissima) e c’è la questione case: si vuole evitare l’edilizia inadeguata, così ”la costruzione di case in cemento è bloccata per decreto del governo fino a che non sarà creato un quadro normativo di riferimento per i nuovi edifici. La gente ha bisogno di normalizzare la propria vita, di avere punti di riferimento per cominciare ad orientarsi, quindi di scuole, di servizi sociali, ed ha bisogno di una ripresa economica. Senza lavoro questa gente resta in balia degli aiuti umanitari. Su questo fronte mancano ancora investimenti e fondi. Ora si apre una nuova fase in cui il ruolo della popolazione locale e’ fondamentale”.

La speranza per il futuro è proprio il temperamento degli haitiani: ”E’ un popolo che non si lascia abbattere e schiacciare dai drammi della vita. Il desiderio irriducibile di affermare la forza della vita e la speranza del domani è ciò che lo caratterizza”. Tant’è vero che, nonostante le difficoltà, non hanno rinunciato a festeggiare il Natale. ”La mattina di Natale abbiamo visto i bambini e le loro mamme uscire presto da case, tende, baracche, vestiti di tutto punto. Fuori dalle chiese c’erano i lustrascarpe perché con le strade piene di macerie e fango era difficile avere le scarpe immacolate. Per quel giorno, le preoccupazioni e le miserie della vita si sono lasciate fuori dalla porta. Era comunque un giorno di festa”.

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