Libia. I 4 rapiti per riscatto? Gli italiani pagano. Puzzle tribale, le ipotesi

di Redazione Blitz
Pubblicato il 21 Luglio 2015 - 10:12 OLTRE 6 MESI FA
Libia. I 4 rapiti per riscatto: perché gli italiani pagano. Il puzzle tribale

Libia. I 4 rapiti per riscatto: perché gli italiani pagano. Il puzzle tribale

ROMA – I quattro tecnici – Gino Pollicardo (ligure), Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, residenti in Sicilia (Enna e Siracusa) e nelle province di Roma e Cagliari – sarebbero stati prelevati mentre rientravano dalla Tunisia nella zona di Mellitah, a 60 km di Tripoli, nei pressi del compound della Mellitah Oil Gas Company, il principale socio dell’Eni.

Sugli autori del rapimento sono in piedi tutte le ipotesi, anche se la pista islamica sarebbe da escludere se non come matrice strumentale: la verità è che i tanti gruppi criminali associati a questa o quella tribù si finanziano anche così, specie considerando che gli mitaliani, il gruppo straniero più numeroso e tra molte virgolette amico, sono soliti pagare i riscatti, a differenza di americani e inglesi.

Secondo fonti militari citate da al Jazeera, i responsabili potrebbero essere miliziani armati vicini a Jeish al Qabali, l’Esercito delle tribù, ostili a Fajr Libya, la fazione islamista che ha imposto un governo parallelo a Tripoli che si oppone a quello di Tobruk, l’unico riconosciuto a livello internazionale. Le stesse autorità di Tobruk, dopo una riunione sulla vicenda, hanno reso noto di “ignorare al momento quale gruppo ci sia dietro”, e hanno condannato il sequestro come “lontano dall’etica dei libici”.

Persino la televisione del Qatar, Al Jazeera, notoriamente legata al campo islamico, ieri ha fatto eco a queste polemiche riportando che gli italiani potrebbero essere nelle mani del «Jesh al Qabali», traducibile come «L’esercito delle Tribù», le milizie locali composte anche dai berberi delle montagne e i commercianti di Zuara, la città portuale prossima al terminale di Mellitah dove si stavano recando i quattro in arrivo dal confine tunisino. La ragione? Fare pressione sull’Italia in vista di un eventuale accordo per la formazione di un governo di unità nazionale mediato dall’inviato speciale delle Nazioni Unite, Bernardino León. E’ una tesi come tante altre. Ma forse più che spiegare complica la matassa. (Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera).

Di certo, nel caos libico che imperversa dalla caduta di Gheddafi, nel 2011, il rapimento di stranieri a scopo di estorsione è diventato sempre più frequente, ad opera di criminali comuni ma anche di milizie locali che vogliono finanziare la propria guerra contro la miriade di fazioni rivali, che si contendono il controllo del Paese, ricco di risorse energetiche. Una situazione resa ancora più incandescente dall’avanzata dell’Isis, che tra l’altro ha rapito tre cristiani copti nei pressi di Sirte, città-snodo petrolifero nelle mani dei jihadisti.

A Parma, città dove ha sede la Bonatti, si vive con il fiato sospeso, anche se nessuno dei quattro è residente là. Il sindaco Federico Pizzarotti ha scritto un messaggio di vicinanza alle famiglie dei rapiti, auspicando che il governo faccia tutto il possibile per liberarli. Analogo appello si è alzato da tutte le parti politiche nazionali.