Schettino licenziato non ci sta. “Non c’è giusta causa”. Art. 18 anche per lui?

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 10 Ottobre 2012 - 13:42 OLTRE 6 MESI FA
Francesco Schettino ai comandi della Costa Concordia (LaPresse)

ROMA – Licenziamento per giusta causa ma non solo, sull’articolo 18 si sono fatte battaglie di principio e confronti duri, ma c’è almeno un caso in cui sulla correttezza del licenziamento sembrerebbe non esserci ombra di dubbio: il caso di un comandante che ha condotto la sua nave contro un’isola e ha gestito la successiva emergenza con, ad esser buoni, leggerezza e superficialità. Eppure Francesco Schettino, il comandante della Costa Concordia, non la pensa così e ha impugnato il licenziamento ricevuto dalla sua ormai ex compagnia di navigazione.

Scientemente o meno, Schettino, condusse la nave che comandava letteralmente contro un’isola. Per fare una manovra che nel gergo delle crociere viene chiamata “il saluto” si avvicinò troppo all’isola del Giglio colpendo degli scogli noti e segnalati sulle carte nautiche. Per colpa di quella sconsiderata manovra, nello scafo, si aprì una falla enorme che portò la nave ad affondare in poco tempo portando con sé 32 persone.

Se questo non dovesse esser sufficiente per configurare le giusta causa per il licenziamento, Schettino si distinse anche nella fase successiva all’impatto. Non diede tempestivamente l’allarme e anzi sminuì l’accaduto con la Capitaneria di Porto che chiedeva cosa fosse successo a bordo. Fu lentissimo nell’ordinare l’abbandono della nave ma velocissimo nell’abbandonarla lui stesso e l’ormai celeberrima telefonata con il comandante Gregorio De Falco  (“salga a bordo, cazzo!”) della Capitaneria testimonia come meglio non si potrebbe l’accaduto. E poi l’alcol, di cui Schettino avrebbe abusato prima del naufragio e la presenza in plancia di persone non autorizzate. Sarebbe anche difficile immaginare una situazione più calzante con il concetto di giusta causa, eppure Schettino non la pensa così.

Deve aver talmente interiorizzato il “vada a bordo cazzo” intimatogli da De Falco da non poter più rimanere a terra. Tanto è vero che ha impugnato il licenziamento, formalizzato a luglio, di fronte al giudice del lavoro. Una autodifesa oltre i confini del plausibile e anche del pudore? Diranno i giudici. Il buon senso dice che sarà difficile sostenere che sia che il licenziamento sia ingiusto, sostenerlo davanti a tutti giudici compresi. Ma sul benservito a Schettino si gioca in realtà una partita più importante. Se infatti è del tutto evidente che uno come Schettino è inadeguato per il ruolo che ricopriva, se è evidente che un comandante con 32 persone sulla coscienza non può e non deve più fare il comandante, nemmeno sul materassino, il licenziamento di Schettino è in realtà non una questione a sé, ma un capitolo, forse il prologo della più ampia vicenda giudiziaria che riguarda il naufragio.

Gli avvocati della Costa crociere hanno motivato il licenziamento (anche in questi casi bisogna ovviamente motivarlo) contestando all’allora comandante numerose violazioni compiute la notte del naufragio. Compreso ovviamente il complesso di ordini e manovre che determinarono la collisione contro gli scogli. Su questo punto però si attende la conclusione del procedimento penale che la procura di Grosseto ha avviato all’indomani della tragedia e che vede indagati, oltre a Schettino ed alcuni membri dell’equipaggio, anche tre manager Costa: Roberto Ferrarini, Manfred Ursprunger e Paolo Mattesi. Se la Costa fosse responsabile almeno in parte dell’accaduto anche il licenziamento risulterebbe meno ovvio e, di contro, se il licenziamento dovesse essere ‘stoppato’ dal giudice, le responsabilità della Costa apparirebbero immediatamente più certe.

Forse non Schettino ma certo i suoi legali sono consci di tutto ciò. Quello a cui mirano, verosimilmente, non è il reintegro a bordo ma un punto nelle più complessa partita delle responsabilità. Se così non fosse confidiamo tutti in un nuovo intervento di De Falco, ma questa volta con un sonoro “vada a casa cazzo!!!”.