La Roma fermata dal Torino, respirano Juve e Napoli. Milan flop

Pubblicato il 4 Novembre 2013 - 23:47 OLTRE 6 MESI FA
La Roma fermata dal Torino, respirano Juve e Napoli. Milan flop

Roma-Toro, Alessio Cerci festeggia il gol (Foto Lapresse)

ROMA – Prima o poi doveva accadere ed è accaduto sul campo infuocato del Torino. La Roma manca il record europeo del Tottenham (undici successi filati in avvio) ma la sua sequenza di dieci vittorie resta comunque nella storia. Cerci, ex enfant du pays frettolosamente ripudiato dalla casamadre giallorossa, firma il pareggio in rimonta del Toro. Alla lunga la squadra di Garcia ha pagato le assenze di due dei suoi uomini più talentuosi, Totti e Gervinho, perdendo l’allure di imprevedibilità che – innestata sul solido tronco coltivato da Garcia – le aveva garantito lo strepitoso en plein. Niente di compromesso, l’1-1 in casa del Toro è comunque un risultato importante, contro i ragazzi di Ventura – uno dei migliori tecnici di passaporto italiano in circolazione – nessuno si divertirà a giocare.

Respirano di sollievo Juventus e Napoli che negli anticipi avevano liquidato con relativa facilità gli ostacoli Parma e Catania e si ritrovano a tre punti dalla lepre giallorossa. Chi aveva strologato di campionato chiuso (incredibile ma vero!) deve ricredersi. Sarà una marcialonga appassionante, con 27 giornate da giocare restano in palio 81 punti, figurarsi se c’è qualcosa di già deciso, in testa e in coda. Domenica sera, a chiudere la giornata prima della sosta, andrà in scena un Juventus-Napoli da gustarsi come un cioccolatino gianduja o un babà, a seconda dei gusti. La Roma potrà osservare purché le sia riuscito di liquidare, nel pomeriggio all’Olimpico, il Sassuolo, risorto a Genova sulle rovine della Sampdoria.

La Juve non è ancora tornata la Juve in sciarpa e sciabola dei tempi gloriosi del primo Conte, ma lucra con saggia padronanza di sé le migliori circostanze. Una fiammata di Quagliarella, buttato nella mischia sullo 0-0, a Parma ha propiziato il gol di Pogba e tre punti pesanti. Con Vucinic e Lichsteiner ancora ai box, Conte aveva concesso tregua a Pirlo e Bonucci in previsione della disfida col Real Madrid, in Champions il cammino si è fatto duro ma l’impresa la Juve dovrà compierla a Istanbul, vincendo nella tana del Galatasaray di Mancini. Col Real di Ancelotti basterà (si fa per dire) pareggiare o vincere, obiettivo complicato ma non impossibile se la Juve sarà la vera Juve. Rivedremo la difesa a quattro (Chiellini fuori per squalifica), segno che il tecnico si è ormai convertito all’assoluta elasticità dei moduli prescelti. Quagliarella si candida ad una maglia al fianco dell’intoccabile Carlitos Tevez. Molto più agevole l’impegno di Champions del Napoli al San Paolo contro l’Olimpique Marsiglia, squadra alquanto dissestata e dunque in teoria facilmente regolabile. Ma il Napoli farà bene a non rilassarsi, nel calcio nulla è scontato in partenza.

Il Napoli ha tenuto il passo della Vecchia Signora, faticando però a piegare un Catania falcidiato dagli infortuni che De Canio sta tentando di riportare sulla giusta strada. Il doppio vantaggio iniziale, con Callejon e Hamsik (il Napoli è la squadra che segna di più nei primi 15′) ha forse illuso i ragazzi di Benitez. Il gol di Castro li ha riportati alla realtà risvegliandoli senza peraltro che al Napoli riuscisse di ristabilire le distanze. Benitez insiste che la sua squadra esprime appena il 75% delle sue potenzialità. Se è vero, attendiamoci altri exploit. Le forche caudine di Torino diranno quanto vale davvero il Napoli e se potrà contrastare la fuga della Roma alla pari con la Juve. Non invidio l’arbitro designato, la ruggine tra le due società e nuove e antiche recriminazioni aumentano il grado di rischio del match. Si auspica che ci siano risparmiati, sugli spalti, i cori vergognosi contro i napoletani (la curva bianconere è sotto diffida e al prossimo sgarro si beccherà la squalifica). Il degrado morale del nostro calcio, che fa perfettamente il paio con lo sfacelo etico della Nazione, ha prodotto vergogne persino al Tardini, stadio solitamente civile della civilissima città di Parma. Lo striscione evocativo – non lo citerò per decenza – esposto dai tifosi ducali contro Pessotto è più di un segnale della spaventosa deriva che attraversa le curve, che però ci si illude di arginare con le cervellotiche, assurde norme che hanno introdotto la inutile tessera del tifoso. E’ il punto di non ritorno di una platea di cosiddetti tifosi ai quali tutto si è concesso, anche a spese della massa di spettatori pacifici e civili. Adesso si vorrebbe contenere i teppisti quando ormai la loro presenza debordante – persino in termini di potere contrattuale nei confronti delle istituzioni, Federcalcio, Lega e club – è stata consacrata da mille compromissioni, puntualmente assecondate dalla maggior parte delle società, convinte che per il quieto vivere si dovesse scendere a qualunque osceno compromesso. Consegnata alle frange di teppisti-delinquenti la titolarità del tifo duro e puro, tollerati i loro ricatti, annacquate le contromisure militarizzando gli stadi a scapito, lo ripeterò all’infinito, degli spettatori “normali”, che vorrebbe gustarsi in santa pace il match della squadra del cuore, non si torna più indietro. Finché almeno non si deciderà di capovolgere l’impronta della normativa di ordine pubblico (tolleranza dei violenti all’interno degli stadi) imponendo la loro esclusione nominale dalle manifestazioni sportive, a pena di squalifica delle società conniventi che si sottraessero al divieto. Il modello britannico, insomma, che ha ripulito gli stadi e li ha trasformati in comodi e sicuri teatri, in cui l’isolato teppista viene individuato, neutralizzato, condotto a processo, e se condannato, sconta la pena in carcere o svolgendo lavori socialmente utili. Ci arriveremo? Non credo proprio. L’lItalia non è il Regno Unito e non solo nel calcio, purtroppo. E’ un Paese allo sfascio e per correggere i tanti errori del passato servirebbe una forte volontà politica – nonché una credibilità presso i cittadini – che nessuno degli attuali attori del teatrino della politica nostrana possiede.

Tornando al campionato, l’Inter ha facilmente avuto ragione di una Udinese diventata la pallida copia della squadra corsara che avevamo ammirato negli anni passati. Di Natale invecchia, Muriel non matura, Benatia è andato alla Roma e Guidolin fa quel che può. Basterà per salvarsi ma in Friuli facciano mente locale: i tempi d’oro per ora sono finiti. La Beneamata dei milanesi conferma robustezza di impianto di gioco, e sempre maggiore confidenza nei propri mezzi. Cambiasso è lo splendido metronomo di una squadra che col recupero dei molti infortunati (Campagnaro, Milito, Icardi) non potrà che migliorare ancora. Salvo innesti invernali di sicuro spessore – Mazzari lo ha chiarito: o arrivano un paio di campioni o restiamo come siamo – lo scudetto sarà fuori tiro ma con i dollari di Thohir e la passione intatta di Moratti, per l‘Inter si stanno per spalancare prospettive golose e gloriose. Basta saper aspettare, soltanto un po’: Bentornato a Zanetti, riapparso in panchina dopo sei mesi dall’infortunio al ginocchio. Il capitano ha promesso, a se stesso e alla gente, di tornare a giocare e conoscendolo non c’è da dubitarne.

La Fiorentina ha clamorosamente evidenziato il flop del Milan, nonostante l’assenza della freccia Cuadrado la Viola ha disposto senza neppure sudare del povero Diavolo di questi tempi, infilzandolo con Vargas, ottimo succedaneo del colombiano fermato da una ingiusta squalifica (urge riformare la norma sulla prova-tv, signori del palazzo) e Borja Valero, sul quale si discetta con un pizzico di sadismo se sarebbe degno di figurare a fianco (o addirittura al posto) dei magni Xavi e Iniesta, superbi reggitori del Barcellona. <Speriamo di no, altrimenti se lo prendono>, ha commentato Montella con arguzia tutta partenopea. A dispetto dei tanti torti subiti, la Viola veleggia subito alle spalle del trio di testa e della coppia Inter e Verona, ormai i ragazzi di Mandorlini non sono più una sorpresa: sesta vittoria filata casalinga, con Toni ancora in gol, Prandelli osserva e annota. Stavolta ci ha rimesso le penne un Cagliari in sorprendente crisi involutiva. Cellino smania ma il meglio che può fare il presidente è non cedere alla tentazione di lasciar partire a gennaio qualcuno dei suoi gioielli. E soprattutto difenda Lopez che ha lavorato bene e non può essere diventato fesso in una settimana.

Il Milan, piuttosto, è scivolato addirittura nella parte meno nobile della graduatoria, alle spalle di Genoa, Udinese e Atalanta e accanto a Parma e Torino. I segnali del crollo c’erano tutti e soltanto l’autocontrollo freddo del caldissimo livornese Allegri ha impedito che lo sfascio si materializzasse ancor prima. Spiegazioni? Il Milan ha un organico nettamente inferiore a Roma, Juve, Napoli, Inter e Fiorentina e non è più neppure una squadra nel senso filosofico del termine. Troppe ipoteche, troppi malesseri, una proprietà capace di farsi sentire soltanto in termini critici verso l’allenatore (vero presidente Berlusconi?) senza prendere mai il toro per le corna. E il corollario di infortuni a raffica (vecchia storia, non sarà tutta malasorte quindi) a rifinire il quadro. E sopra il cumulo di macerie il caso-Balotelli. Se Mario è il calciatore svogliato e nervoso visto in campo contro la Fiorentina, Allegri può farne a meno. E per sua fortuna la squalifica lo obbligherà ad avvicendarlo nell’impegno in trasferta col Chievo, che ha colto un punto prezioso a Bologna. Non solo Allegri è alla prese col quiz Balotelli, anche Prandelli sta sulle spine. Ha puntato tutto su di lui e se Balo salta, la Nazionale va in crisi. Ma insomma tutto dipende da Mario che in campo gioca come se facesse un piacere a qualcuno, senza allegria, con spocchia insopportabile, affondato in una perenne guerra con i difensori che fanno solo il proprio mestiere e lo marcano duro come si conviene ad un (presunto) campione. Ce l’ha soprattutto contro gli arbitri che finiscono per essere maldisposti verso di lui, che protesta, gesticola, si lamenta e col suo metro e novanta di statura gli 86 chili di peso finisce ad ogni contrasto per le terre, autorizzando il sospetto che si dedichi, più che al pallone, alla specialità degli stuntmen. Insomma, o Balotelli si dà una registrata, vera (a prescindere da cresta ed orecchino, chissenefrega) oppure resterà la splendida, maledetta incompiuta che è. Un Cassano più giovane, capace di sprecare un talento immenso non si sa neanche perché. L’ultima di casa Milan è l’attacco di Barbara Berlusconi a Galliani, la primogenita di Veronica Lario ha chiesto a papi, pardon a papà, di cambiare radicalmente la filosofia che ha guidato il Milan negli ultimi due campionati. Acquisti sbagliati e dispendiosi, si è disattesa la volontà della proprietà, accusa la giovane manager. Che giura di non aver chiesto al testa di Galliani ma, visto il tono del comunicato diramato attraverso l’Ansa, è come se lo avesse fatto. I figli so’ piezz’e core anche a Milano, ma il presidente commetterebbe un errore fatale se mandasse in pensione Galliani, l’artefice dei vent’anni di successi milanisti. Un dirigente esperto, cinico anche, che conosce ogni meandro dei palazzi del potere e si muove con la perizia di un antico navigante. Stupisce che la signora Barbara accusi Galliani di non aver seguito le indicazioni del padre di lei, quando è noto che al Milan ogni decisione importante, a cominciare dal ritorno di Kakà, porta l’imprimatur del padrone. Barbara Berlusconi nel calcio è una neofita assoluta, fa un affare se continua ad imparare da da Galliani dottor Adriano a muoversi sui campi minati del pallone. La gara di Champions col Barcellona si annuncia come una via crucis, tuttavia il Milan in Europa è in piena corsa e una sconfitta sarebbe rimediabile, purché non si trasformi in una disfatta, di gioco e di risultato. Allegri è appeso ad un filo, la fiducia è a tempo e condizionata ad una pronta ripresa in campionato, a cominciare dalla trasferta di domenica a Verona, col Chievo. Su un campo non proprio fortunato per i colori rossoneri…

In coda, ha battuto un colpo il Livorno, battendo l’Atalanta che in trasferta non rende neppure la metà di quanto produce in casa. Al Genoa vittorioso a Roma contro una Lazio ancora sprofondata nei suoi guai (il caso Hernanes non si sgonfia e Lotito conferma la fiducia a Petkovic ma ha tutta l’aria di una fiducia a tempo), Gasperini ha cambiato faccia e animus, dieci punti in cinque partite hanno issato il Grifone nella parte alta della classifica, addirittura all’ottavo posto. Gasperini a Genova, sponda rossoblù, sta come un topo nel formaggio e i risultati si vedono. Il Genoa ha giovani di qualità (Perin Fetfatzdis, Vrsaliko, Cofi, Antonelli) ben miscelati con anziani sicuri (Antonini, Portanova, Manfredini, Matuzalem, Kucka) e davanti un campione del gol come Gilardino (a Roma gol numero 164) che punta al Mondiale e non si risparmia. Et voila il miracolo, più che notevole, propiziato dalla guida sicura di Gasperini, uno che coniuga bel calcio e risultati. Mica poco, eh…

L’altra faccia di Genova, la Sampdoria, viceversa si inabissa e riesce nell’impresa capovolta di perdere il match-salvezza contro il Sassuolo, vittorioso (è la prima volta in A) a Marassi, Rocambolesco 4-3 per gli emiliani, che lucrano su due rigori (ineccepibili) e sulle sgangherate performance della difesa blucerchiata (Costa in particolare, che almeno a fine gara si prende tutte le colpe), nuovamente disposta a tre. Non conosce soste il tourbillon tecnico-tattico di Delio Rossi – confermato dalla società, anche in ragione dei due anni di contratto a 1 milione e 200mila euro netti a stagione. L’impressione è che il continuo metti e leva, cambia e ricambia dell’allenatore, alla ricerca della ardua quadratura del cerchio, abbia confuso e disorientato i giocatori. I giovani sui quali ha puntato Garone junior, hanno incerte qualità e scarsa personalità, anche perché sono male assistiti dai pochi anziani rimasti in organico. Gastaldello, Palombo e Pozzi sono bravi ragazzi ma mancano di leadership e nel calcio, come nella vita, servono leader che traccino la via e all’occorrenza si carichino il fardello dei guai comuni sulle spalle. La situazione è molto grave, i tre punti concessi al Sassuolo salvano Di Francesco e rilanciano la matricola che una sconfitta avrebbe terremotato.Ad onta delle dichiarazioni ufficiali (il dg Sangramola gli ha rinnovato la fiducia) Rossi è appeso ad un filo. Se la Sampdoria oerde di brutto a Firenze, il tecnico rischia il licenziamento. Corini sarebbe la prima scelta per sostituirlo.

La Sampdoria non può prendersela che con se stessa, dirigenti in testa (il dg Sagramola e il ds Osti) con le loro azzardate strategie e di mercato. Da quando Garrone senior buonanima liquidò Marotta per i contrasti sorti su Cassano, la Sampdoria non ha più trovato responsabili tecnici all’altezza non si dice delle ambizioni, ma finanche di una tranquilla navigazione in serie A. Sergio Gasparin, subentrato a Marotta, aveva acquistato Iturbe, Kucka e Jaime Rodriguez (l’estate scorsa ceduto dal Porto al Monaco per 43 milioni di euro!). Gli affari furono cancellati dall’uomo nuovo, il commercialista Guastoni, uomo della proprietà, che affondò la squadra in serie B. E da lì nasce il buco di bilancio di 42 milioni che i Garrone hanno colmato a ma a prezzo dell’indebolimento tecnico della squadra che pure (segnale sottovalutato) lo scorso anno si era salvata tra qualche affanno. E perduti Poli e Icardi, non ha saputo ritrovarsi neppure sotto la guida esperta di Delio Rossi. Sarebbe tempo che il presidente Edoardo Garrone, meditati sui tanti pasticci passati – prendesse di petto il problema e alle parole facesse seguire i fatti. Cominciando dal mercato di gennaio. Un modesto parere: provi a chiedere Cassano al Parma, Antonio non smette di ripeterlo. Tornare a Genova per lui sarebbe il sogno della vita. Molta acqua è passata sotto i ponti dalla omerica lite con Fantantonio. Scurdammoce o passato, dai. La Sampdoria prima di tutto e di tutti.

Col pari di Bologna nel posticipo, il Chievo resta all’ultimo posto in classifica, ma interrompe la sequenza di sconfitte (sei) e forse salva la panchina di Sannino. Il Bologna spreca l’occasione per allungare, sette punti raccolti nelle ultime tre partite (solo tre nelle precedenti otto) sono un buon viatico per sperare nella rimonta. Entrambe le squadre debbono risolvere il problema del gol.