Alitalia: 180 giorni di voli, 294 milioni di perdite. Sotto a chi paga…

di Riccardo Galli
Pubblicato il 8 Ottobre 2013 - 14:52 OLTRE 6 MESI FA
Alitalia (Foto Lapresse)

Alitalia (Foto Lapresse)

ROMA – Sei mesi, dal 1 gennaio al 30 giugno 2013, 180 giorni circa in cui Alitalia-Cai ha registrato perdite per 294 milioni. Poco meno di 2 milioni persi al giorno e un debito complessivo della compagnia intorno al miliardo di euro. E questa è la compagnia “buona”, quella creata appena cinque anni fa sulle ceneri della allora pubblica Alitalia. La bad company, la compagnia “cattiva”, i precedenti debiti di Alitalia e i precedenti costi della sua “ristrutturazione” il contribuente italiano li ha pagati con un conto di cinque miliardi. Adesso si ribussa sempre alla stessa porta e tasca: denaro pubblico per Alitalia.

A leggere i conti sembra impossibile che siano passati appena 5 anni, eppure è così. Era il 2008 quando l’allora pubblica Alitalia arrivò al suo capolinea. Allora non si volle vendere ad Air France – Klm per ragioni più o meno nobili e si scelse di venderla a dei privati italiani. Ma più che di una vendita si trattò di un regalo, un generoso omaggio fatto dall’allora governo Berlusconi a spese però degli italiani. L’allora compagnia di bandiera venne infatti spezzettata, divisa in due. Furono create due distinte società, una cattiva, piena di debiti ed esuberi, ed una buona, con gli aerei, le tratte e tutto quello che di buono e potenzialmente redditizio in Alitalia rimaneva. Quella cattiva, la “bad company”, finì sul groppone dello Stato. Quella buona invece venne venduta ai privati. Quei privati che in 5 anni hanno trasformato la “good company” in una nuova “bad company”. Una compagnia nuovamente zeppa di debiti, in perdita costante e con i creditori alle calcagna. L’Eni ad esempio, per bocca del suo ad Paolo Scaroni, ha già comunicato che garantirà i rifornimenti di carburante solo fino a sabato prossimo perché, avendo crediti con Alitalia-Cai per 35 milioni di euro, non può permettersi di aumentare il fido ad una società che non offre garanzie.

Allora, nel 2008, in nome di una supposta italianità si scelse una strada che si è rivelata poi sbagliata. E oggi la situazione è nuovamente drammatica. L’italianità del 2008 non è fortunatamente ancora un dogma, anzi. Il premier Letta ha detto a Sky: “In Europa ci sono tre compagnie (Air France-Klm, Lufthansa e i suoi satelliti, British Airways-Iberia). Queste sono il mercato europeo, non possiamo stare soli come si è fatto nel 2008, sbagliando. Oggi stiamo pagando quelle scelte”. Ma se con colpevole ritardo si è capito il macroscopico errore, il problema è come ora risolverlo, e la speranza è che la soluzione non finisca ancora una volta in collo ai contribuenti.

Scrive Antonella Baccaro sul Corriere della Sera: “Il governo è impegnato ufficialmente nel tentativo di trovare un veicolo ‘pubblico’ per evitare il fallimento della compagnia e favorire una fusione dignitosa con Air France-Klm. Ma questo soggetto (o più soggetti) al momento non c’è. Lo schema prevederebbe un suo ingresso nel capitale della compagnia: in pratica una parziale rinazionalizzazione. E’ come se Enrico Letta stesse cercando un padre per la sposa, uno che garantisca che questa abbia una dote sufficiente per essere accolta con il dovuto rispetto, che assicuri tutti i fornitori del banchetto di nozze che saranno pagati, che la sappia accompagnare all’altare dignitosamente, che sorvegli l’andamento del matrimonio tenendo un indiscreto piede in casa”.

Parallelo e metafora che ben spiegano l’attuale situazione. Anche se andrebbe aggiunto che la sposa in questione non è affatto novella, è almeno al secondo matrimonio e il primo è fallito miseramente tra urla, piatti rotti e tragedie varie. E gli ipotetici “padri della sposa” sono di questo consci. L’ad di Ferrovie Moretti, ad esempio, dato sino a ieri come uno dei più papabili, si è quasi certamente sfilato disertando la riunione in programma ieri (7 ottobre) tra il governo e i vertici di Alitalia. Moretti si è visto prima, privatamente, con il solo premier Letta cui avrà esposto verosimilmente le considerazioni già pubblicate mesi fa dal Corriere della Sera e riassumibili nel compagnia low cost per l’area domestica, incremento delle tratte a medio-lungo raggio e niente debiti. Posizione comprensibile dal punto di vista di Ferrovie ma posizione che non è quella che corrisponde all’identikit del padre che si cerca. E il pericolo che dopo 5 anni gli italiani si debbano ricomprare i debiti di Alitalia una seconda volta si fa, ogni giorno che passa, sempre più concreto.