Antonio Palleschi: “Uccisi Gilberta perché volevo stuprarla”. Abusi su cadavere?

di Redazione Blitz
Pubblicato il 11 Dicembre 2014 - 10:49 OLTRE 6 MESI FA
Antonio Palleschi: "Uccisi Gilberta perché volevo stuprarla". Abusi su cadavere?

Antonio Palleschi al momento dell’arresto (foto Ansa)

SORA – “Sì, l’ho ammazzata io. A mani nude, senza coltelli né armi. Non so perché l’ho fatto, la volevo violentare“. Con queste parole Antonio Palleschi ha confessato l’omicidio di Gilberta Palleschi (omonima ma non parente) in provincia di Frosinone. E’ Fabio Tonacci su Repubblica a riportare le parole del killer, che specifica di aver ammazzato la professoressa di inglese scomparsa da Sora “a cazzotti e calci”. Una gragnuola di colpi per uno stupro andato male. Poi il cadavere nascosto nelle campagne della provincia di Frosinone. Infine il sospetto che abbia potuto abusare della donna da morta.

Lo lascia intuire Tonacci:

Il giorno dopo torna alla discarica e «compie qualcosa» sul corpo senza vita di Gilberta.  Il procuratore di Cassino, Mario Mercone, non aggiunge dettagli superflui, ma si intuisce che Palleschi il giorno dopo fa ciò che non era riuscito a fare il giorno prima.

Tonacci racconta l’interrogatorio che ha portato alla confessione:

È crollato prima di mezzogiorno, davanti ai carabinieri e al pm di Cassino Beatrice Siravo. Antonio Palleschi, manovale precario, classe 1971, un matrimonio alle spalle, un figlio che non vede quasi mai, una madre anziana da assistere. Due condanne già scontate, nel 1999 e nel 2010 per tentata violenza sessuale. Sempre in strada, sempre con donne scelte a caso. Per un po’ ha provato a negare, era tranquillo quando gli agenti sono andati a prenderlo nella sua casa del quartiere San Giuliano di Sora, lo stesso in cui viveva Gilberta, 57 anni, insegnante di inglese e volontaria dell’Unicef. Vittima e carnefice, nello stesso quartiere. Probabilmente si sono incrociati qualche volta ma non si erano mai parlati.

E’ stato lo stesso Palleschi, prosegue Tonacci, a portare gli investigatori lì dove giaceva il cadavere di Gilberta:

«Sono stato io, è vero. Venite, vi porto a vedere dove l’ho buttata». Un dirupo vicino a Corpello che si chiama Fosso Cupo, in mezzo al fango, a un acquitrino gelido, a frigoriferi rotti. Quattro chilometri dal luogo dell’aggressione. L’ha gettata dal ciglio della strada e lei è rotolata giù per quasi 100 metri, forse già morta, perché i colpi di Antonio — a giudicare dal cadavere ritrovato nudo — le hanno spezzato l’osso del collo.