Qui sala parto. In diretta, dietro le quinte, dove comincia una vita

Pubblicato il 30 Aprile 2009 - 16:23| Aggiornato il 14 Maggio 2009 OLTRE 6 MESI FA

Ieri sono nati 13 bambini! Dopo anni di continuo lavoro in sala parto mi accorgo che l’evento “nascita” è sempre più legato a complessi meccanismi. È facile dire ad una donna che deve partorire: “Signora non si preoccupi, andrà tutto bene!”

Dico che è facile perché dietro a questa banale affermazione, che noi ripetiamo ogni volta che ci troviamo di fronte ad una donna con i prodromi di un travaglio, si celano problematiche diverse. Ogni donna è una persona che viene da una famiglia diversa, da una cultura diversa, da esperienze di vita diverse.

Sta al ginecologo interpretare in pochi attimi come potrebbe essere il travaglio di ciascuna di queste donne e questo non è semplice, tutt’altro! Studi internazionali affermano che le donne con bassa estrazione sociale e basso livello di scolarità travagliano in modo più “folkloristico” delle donne di estrazione socio-economico culturale opposta. Dalla mia esperienza emerge invece che , pur con delle limitazioni legate al grado di comprensione dell’evento travaglio, il fattore determinante nella buona riuscita di un travaglio è il rapporto ginecologo-paziente.

Ma torniamo alla nascita di questi 13 bambini in una sola nottata: un evento eccezionale, per un solo ospedale, e commovente anche, per quel che l’inizio di una nuova vita rappresenta. La sala parto era già occupata da 8 donne in fasi diverse del travaglio, distribuite in 8 box. Ciascun box è composto di un letto da travaglio che si smonta per favorire la nascita del bimbo al momento opportuno, dove la donna rimane per altre 2 ore dopo la nascita del bambino , nel cosiddetto periodo del post-partum. Accanto a lei, nel 95% dei casi, c’è il marito /compagno . Altrimenti, il posto è occupato da una parente o magari da un’amica.

Si capisce che  anche la presenza del partner ha un ruolo non secondario nella buona riuscita del parto. Questi poveri mariti, purtroppo , non riescono sempre ad essere all’altezza della situazione e. in realtà sono pochi quelli che riescono ad aiutare la moglie durante questo faticoso lavoro. Già, perché di lavoro si tratta, e che lavoro!

Permettere che un figlio , che è stato per 9 mesi nel grembo materno, venga alla luce, è cosa facile solo per una  percentuale modesta di donne. Basta ascoltare i racconti delle nostre nonne e delle nostre mamme per capire che affrontare il parto è intraprendere un duro lavoro, una dura fatica.

Ma cosa fa il ginecologo quando inizia il turno di guardia nella sala parto? Come di consueto quando si inizia il turno di guardia, a consegne avvenute, si controllano le donne presenti nei box. La donna più vicina al parto era la donna del box 3: Una donna difficile, che aveva iniziato ad avere le prime contrazioni dolorose circa 7 ore prima . Aveva fatto la parto analgesia ( epidurale) ma dimostrava di essere sofferente e di non sopportare ulteriormente il fastidio.

Vedendola sofferente e poco collaborativa, le chiedo se fosse il primo figlio e quanti anni avesse. Mi dice di avere 41 anni e che dopo diversi tentativi di fivet, finalmente era riuscita a portare avanti la gravidanza. Parliamo da una mezz’ora quando l’ostetrica di turno la visita e mi dice che la donna “è completa”, cioè che è a dilatazione completa. Soddisfatta la tranqullizzo e le dico che lo sforzo che aveva fatto non era stato vano e che da quel momento avrebbe dovuto cominciare a collaborare attivamente con me e l’ostetrica.

Inaspettatamente, comincia a lamentarsi e a dire che non ce la farà mai a spingere , perché è stanca e perché non sa cosa significhi spingere. Le spiego che la spinta è fondamentale per la buona riuscita del parto e che nella spinta c’è il coinvolgimento dei muscoli del torchio addominale e che la donna -madre , è la protagonista di questa fase. Perciò, per quanto il ginecologo e l’ostetrica siano bravi, possono fare poco se lei non interpreta bene il suo ruolo. Anche l’ostetrica le spiega cosa significhi spingere. Ma l’emozione è troppa e alla prima spinta la signora non piega la testa sul torace e comincia a soffiare invece di mantenere dentro l’aria perché’ possa abbassare il diaframma e facilitare il torchio addominale, che rappresenta un po’ la benzina di una macchina .

Alla seconda spinta piega la testa ma mantiene le braccia rigide attaccate ai gambali del letto. Intervengo dicendo di piegare le braccia e portare i gomiti verso l’esterno per potenziare la spinta. Dopo pochi secondi butta fuori l’aria dalla bocca e comincia ad alzare il bacino. l’ostetrica con pazienza le spiega di nuovo come fare. il marito che le e’ accanto viene invitato a collaborare e a reggerle la testa sul torace durante al spinta. Mentre le regge la testa, volta la faccia indietro perché non vuole guardare. Prova spingere ancora. Va meglio ma la spinta è sempre poco efficace.

Mi infilo un paio di guanti sterili, dal momento che il sacco amniotico era rotto e la visito. La testa è impegnata e la sinfisi pubica non si aggancia più, la testa fetale ha ruotato. perciò invito la donna a spingere di nuovo. Niente da fare, la povera donna non riesce a spingere in modo appropriato. Si capisce che non riesce a concentrarsi e a raccogliere le energie necessarie che permetterebbero al bimbo di nascere velocemente. Sta di fatto che dopo un’ora di dilatazione completa e situazione ostetrica poco variata, si rifiuta di collaborare dicendo di “toglierle in qualche modo il bambino dalla pancia ” e che non intende più spingere e anzi, è pronta a fare un cesareo.

Le dico che si tratta di dare solo poche spinte e che il cesareo è un intervento chirurgico. Si lamenta col marito che è presente e che, secondo lei non capisce , solo perché anche lui cerca di invitarla a collaborare, piuttosto che assecondarla. Per fortuna,  nel frattempo il battito cardiaco del feto, che teniamo sotto controllo, continua ad essere buono, ma con diverse decelerazioni variabili. L’ossitocina che le era stata somministrata per regolarizzare le contrazioni, non poteva fare miracoli e sostituirsi alla spinta; poteva solo potenziare le contrazioni.

Dopo altri 20 minuti  sono costretta ad applicare una ventosa. una di quelle ventose di ultima generazione, usa e getta “kiwi”. Dopo due spinte la bimba finalmente nasce. Ma non è ancora finita: ha un giro di cordone intorno al collo ed un giro intorno al piede. Finalmente. Dopo una ventina di minuti, affidata alle cure del pedriatra, la bimba è riportata nel box.

Ora per la bimba è pronta nella sua culletta, lei indossa un bel completino bianco e rosa. Non si stacca da lei il padre, che del parto aveva capito veramente poco, ma che ora entra subito e attivamente nel suo nuovo ruolo. La mamma si scusa della mancata collaborazione: sarebbe stata sciocca se avesse fatto un cesareo…ma questo noi lo sapevamo…..scuse accettate.