UNA FARSA INTITOLATA ”ALITALIA”
di Gian Pietro Bontempi
Se la vicenda della compagnia aerea nazionale non pesasse sulle tasche di tutti noi contribuenti, ci sarebbe da ridere e questa storia potrebbe diventare una farsa del teatro italiano. Ma c’è poco da rallegrarsi, e non solo per il fallimento miliardario della società, ma soprattutto per l’assoluta mancanza di indagini sulle presunte responsabilità. Ci sono colpevoli tra i dirigenti o addirittura nel consiglio d’amministrazione? Pare che finora nessuno si sia posto questa domanda. Se una normale società commerciale avesse i bilanci in rosso come “Alitalia”, dovrebbe portare immediatamente i libri contabili in tribunale e dichiarare il fallimento. Qualcuno stava aspettando gli investitori e una cordata di imprenditori che dovevano rilevare la società. Hanno aspettato a lungo, ma non si è presentato nessuno. Si è dimostrato così, che non esiste uno sciocco miliardario disposto a mettere proprio denaro in un’ attività che perde quasi un milione di euro al giorno. L’unica speranza rimasta era il finanziamento di Stato; l’antico rimedio che sempre ha fatto risorgere le aziende statali decotte e in via di estinzione. Ma questa volta l’intervento del Governo d’Europa è stato tempestivo: niente finanziamenti pubblici alle aziende statali italiane in perdita; vale a dire, niente sleale concorrenza con le società europee che si amministrano in modo corretto e senza aiuti statali. Ma la soluzione italiana non si è fatta attendere: si è deciso di tentare di salvare “Alitalia” con un “prestito” di 300 milioni di euro. Nel giro di pochi giorni è stato emesso un decreto per l’assegnazione del finanziamento, concesso a titolo di “prestito” . Successivamente la Camera dei deputati, con 278 voti favorevoli e 255 contrari, ha deciso di dare via libera alla conversione in legge del decreto. Se questa legge dovesse passare al Senato, la Commissione europea aprirebbe un procedimento di infrazione all’Italia con pesanti sanzioni da pagare. A parte lo sperpero di quantità rilevanti di denaro pubblico, che non risolvono i problemi di una società al collasso per una gestione irrazionale e clientelare, ci troviamo innanzi a una palese violazione di una normativa comunitaria. Infrazione resa ancor più grave perché approvata e poi ratificata dalla maggioranza del parlamento. C’è da chiedersi: a cosa servono le disposizioni comunitarie quando sono gli stessi Stati a violarle? Come il cittadino può osservare le leggi, se sono gli stessi rappresentanti della politica a dimostrare poco rispetto per le normative internazionali?