Il nucleare un affare da 30 miliardi, il 70% è aperto alle piccole imprese

Pubblicato il 20 Gennaio 2010 - 16:24 OLTRE 6 MESI FA

A tappe forzate verso il nucleare, il vero affare del prossimo decennio per le grandi imprese in Italia. Vale, secondo Confindustria, circa 30 miliardi. Il 70% del quale, auspicano le imprese, destinato all’Italia. Chiamate a partecipare a quella che l’amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti, chiama «ricostruzione della filiera nazionale del nucleare» circa 400 aziende italiane.

Un boccone da mandare giù il prima possibile. Senza troppi ritardi e intoppi. Senza un confronto con quelle regioni che dovranno ospitare le centrali (cinque in tutto, quattro delle quali con tecnologia francese). Per questo a Roma, davanti a centinaia di aziende riunite durante il «Supply Chain Meeting», Conti, ha sostenuto che sarebbe utile riformare il Titolo V della Costituzione, che regola i poteri delle amministrazioni locali e delinea il nostro federalismo. In particolare, per ciò che riguarda la politica energetica. «È necessario – ha chiarito Conti – che tale materia, nell’ambito di una riforma del titolo V della Costituzione, torni di competenza dello Stato, pur nel rispetto delle prerogative locali».

L’uscita di Conti ha il merito di rendere pubblico un argomento finora taciuto. Il manager statale (è nominato dal Tesoro, principale azionista) ha detto pubblicamente quello che il governo sta attuando, in realtà, sotto traccia. Domani 21 gennaio al Senato, in commissione Bilancio, si parlerà del decreto che individua i criteri per la localizzazione di impianti e depositi. Il ministro per i rapporti regionali Raffaele Fitto ha raccomandato, attraverso una lettera riservata, al presidente del Senato Renato Schifani di fare in fretta. Anche a costo di scavalcare le regole.

Perché da quel decreto mancano le firme di Regioni e Consiglio di Stato, che pure per legge dovrebbero esserci. Il governo, dopo il ricorso di 11 governatori alla Consulta, ha deciso ieri di riunire la conferenza Stato-regioni per il 28 gennaio. E cioè proprio a ridosso della scadenza per la conversione del decreto. In sostanza il governo sta già nei fatti escludendo le regioni dal confronto. Questo anche perché vuole evitare che il dibattito sull’atomo possa entrare nel voto per le regionali del 28-29 marzo. Un timore espresso anche dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Sul nucleare, ha detto il numero uno degli industriali, «in Italia assistiamo a dibattiti superficiali e demagogici».

Eppure di nucleare ancora non si parla. Non si conoscono i siti, i costi reali, il prezzo finale dell’energia prodotta. Ci sono solo stime, contrastanti per altro. Ad esempio, finora si è sempre detto che un reattore francese Epr costi circa 3,5 miliardi. Ed è quello che ancora sostengono Enel e Confindustria, ma non Edf, che invece li costruisce. Secondo la stampa d’oltralpe, che guarda con attenzione alla realizzazione del sito di Flamanville, i costi di un singolo reattore potrebbero addirittura raddoppiare (fino a 7 miliardi di euro).

Tra l’altro non c’è certezza neanche sui tempi. Sempre a proposito di Flamanville, secondo Le Figaro, per la messa in opera del cantiere, prevista per il 2012, ci sarebbe un ritardo di circa due anni. La società, naturalmente, ha smentito la ricostruzione, però lo scorso novembre Edf aveva già ammesso ritardi nei lavori, distinguendo per la prima volta la data di messa in esercizio dell’impianto da quella di commercializzazione dell’energia, indicando implicitamente un ritardo di un anno.

Ritardo accertato, tre anni, in Finlandia dove si sta costruendo un Epr nel sito di Olkiluoto 3. Il colosso francese Bouygeus che sta realizzando l’edificio dei reattori è stato accusato di aver eseguito i lavori (saldature) in modo non conforme già nell’agosto del 2008. Più di recente, poi l’agenzia finlandese di controllo, Stuk, ha nuovamente bloccato i lavori, sempre per problemi legati alle saldature nel circuito primario.

Poca chiarezza, infine, anche sul prezzo finale. Secondo il manager Conti con una programmazione certa le aziende si ripagano l’investimento senza aiuto statale. Eppure Citigroup, leader nei servizi finanziari, sostiene l’opposto e cioè che gli operatori del settore privato non sarebbero in grado di sostenere autonomamente le attività di costruzione. Per avere dei rendimenti certi, allora, le imprese avrebbero bisogno di essere sostenute dalla comunità. Che si troverebbe alla fine a dover pagare 65 euro per ogni megawatt prodotto con l’energia nucleare mentre le stime attuali parlano di 40 euro.

Intanto continuano le polemiche. La candidato presidente del centrodestra alla Regione Lazio, Renata Polverini, afferma che sul nucleare non puo’ esprimersi. Aspetta che scrivano il programma. Mentre la sfidande Emma Bonino,non se lo lascia chiedere, il suo “no” è noto già da tempo. E dire che il Lazio proprio sul nucleare deve decidere su due centrali nuove di zecca una a Montalto di Castro e una a Magliano Sabina.