Fiat e Agnelli. Salvatore Tropea (Repubblica) e i tormenti fra tradizione e dividendi

Pubblicato il 19 Febbraio 2011 - 09:12 OLTRE 6 MESI FA

La famiglia Agnelli è in fermento, specie tra gli ultimi rimasti della generazione dell’Avvocato c’è malumore, anche se alla fine il più grande sedativo sarà costituito dal dio denaro. Se l’operazione ingegnerizzata da Marchionne farà dormire sonni più tranquilli a zii e cugini di quanto non facciano oggi quelle fabbriche, Jachi Elkann avrà gioco facile a convincerli della bontà della scelta.

Nessuno ricorda poi che sotto l’altro grande anestetico, il carisma di Gianni Agnelli, il destino della Fiat era stato già scelto una volta, a metà degli anni ottanta, quando la Ford propose un accordo che avrebbe portato alla casa americana il genio industriale di Vittorio Ghidella, il vero risanatore della Fiat negli anni ottanta, e la Fiat stessa.

L’accordo prevedeva una società mista, in cui erano apportate Fiat auto e Ford Europa, che sarebbe stata controllata da Fiat Holding per un certo numero di anni, fino alla pensione di Agnelli; poi, ritiratosi l’Avvocato, la maggioranza sarebbe passata agli americani e la Fiat non sarebbe stata più italiana.

L’accordo poi non si fece, prima per opposizione italiana interna Fiat (Cesare Romiti non ci vedeva chiaro) poi perché gli americani videro troppo difficile la gestione di una azienda in Italia.

Quello che Marchionne oggi propone è un percorso probabilmente obbligato dal punto di vista delle scelte industriali, degli azionisti e a lungo termine anche dei lavoratori. Non è questo che scandalizza, ma è la totale insipienza e latitanza delle controparti italiane: sindacati in primo luogo, partititi della sinistra (chi non ricorda l’esultanza di Piero Fassino e Massimo D’Alema per le imprese di Marchionne americano) e anche governo (con l’eccezione dello sventurato immobiliarista Claudio Scajola, che da vecchio democristiano qualche sensibilità su questi temi l’aveva conservata).

Hanno lasciato fare a Marchionne quel che ha voluto, senza nulla chiedere almeno a quel che si sa. Il loro sgomento presente è solo imbarazzo per la loro negligenza e superficialità.

Ora anche dalla famiglia Agnelli si levano voci lamentose, come quella raccolta da Salvatore Tropea per Repubblica, che ha intervistato Maria Sole Agnelli, sorella di Gianni e nipote del fondatore Giovanni.

L’articolo di Tropea ha questo inizio. «Non ci credo. Non sarebbe una cosa facile. Posso pensare che se le cose lo imporranno, se i mercati lo richiederanno sarà lui (Marchionne) a spostarsi negli Stati Uniti, ma non che la testa e il cuore della Fiat possano lasciare Torino e l’Italia ». Maria Sole Agnelli, sorella dell’Avvocato e assieme al marito Pio Teodorani Fabbri e ai figli, secondo azionista di Fiat attraverso Exor dopo John Elkann, traduce in un convinto e ostinato messaggio di sicurezza gli umori della Famiglia all’annuncio indiretto fatto arrivare venerdì sera da Sergio Marchionne dalla West Coast americana.

«Ancora in un suo recente discorso ci ha esortato a guardare fuori dalle finestre, come dire che lì era Torino e lì la nostra casa, le nostre radici. E io voglio crederci, anche se non si deve dimenticare che il mondo cambia, più in fretta di quanto noi immaginiamo».

Scrive Tropea: La famiglia tende, come fa con pacatezza la signora Maria Sole, a non mettere in discussione il convincimento [espresso da John Elkann: «Non riesco a immaginare una Torino senza Fiat e una Fiat lontana da Torino »]. Ma è una posizione che, col passare dei giorni, sembra dettata più da uno stato di necessità che non da una scelta fatta una volta per tutte. Nessuno degli Agnelli lo ammette e anzi tutti confermano la piena fiducia nell’operato di Marchionne, ma si avverte una sorta di progressivo isolamento della famiglia come se fosse tagliata fuori dai piani di Marchionne e per questo confortata da risultati che diversamente non sarebbero mai arrivati.

Il fatto, nota Tropea, è che “il progressivo aumento del peso decisionale di Marchionne, con l’attuale struttura di governo del gruppo soprattutto dopo la scissione di inizio 2011, difficilmente può essere contrastato dalla famiglia Agnelli ammesso essa intenda farlo. Le modifiche adottata nell’arco degli ultimi dodici mesi hanno prodotto un’interruzionedella continuità storica che in passato ha consentito ad essa di influenzare le scelte dell’ad sia pure nel rispetto delle competenze. La fine della presidenza Montezemolo, anche se il sostituto è un Agnelli, ancora oggi viene vissuta da alcuni «eredi» come uno strappo rispetto a una parte della famiglia. Tanto più che con essa si è come dissolta la vecchia struttura di presidenza diluita in una concentrazione di poteri nelle mani dell’ad”.

Ma ormai si parla di un potere di Marchionne sempre più autonomo rispetto alla famiglia, che pure fa “di tutto per cancellare l’ombra del sospetto di una non condivisione delle scelte strategiche. Compresa quella che sta trasformando l’alleanza Fiat-Chrysler in un nuovo gruppo Chrysler-Fiat”.

Tropea cita un ex manager del Lingotto: «Non capisco le ragioni di tanta sorpresa. Marchionne da tempo va dicendo a chiare lettere ciò che intende fare e che non sarà la fine della Fiat Italia ma l’inizio di una Fiat con il suo epicentro fuori da questo paese».
Conclude Tropea: “Una scelta che, a Torino, qualcuno pensa che alla fine non dispiaccia alla famiglia Agnelli o almeno a quella parte di essa che considera da tempo chiusa una storia”.