ROMA – Il nostro premier Mario Monti tempo fa ha chiesto, calandosi le braghe, alla Cina di investire in Italia e ne ha ottenuto una mezza promessa. Ma è più che improbabile che le imprese cinesi vogliano realmente venire a investire in loco in un Paese dove i sindacati sono così forti e le leggi che tutelano il lavoratore, nonostante la riforma Fornero-Monti, così ponderose e numerose. E difatti il perché e il per come la Cina non investirà in Italia lo ha spiegato molto bene in una lettera al Corriere della Sera l’economista Xie Andy che invita il Dragone a non investire da noi.
Gli aiuti all’ Italia potrebbero favorire gli scambi commerciali cinesi. Ma i benefici indiretti sono troppo ridotti. Inoltre, l’ aiuto esterno serve solo a posticipare il giorno della resa dei conti. A prescindere dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio Mario Monti, la Cina non dovrebbe investire in Italia. Partecipando a una conferenza in una città dell’ Italia del Nord, le difficoltà dell’ economia del Paese appaiono evidenti. È affascinante osservare come un dipendente di una società di traghetti riesca a rallentare sistematicamente la vendita di biglietti a una lunga fila di turisti in attesa che guardano sbigottiti le imbarcazioni semivuote che partono lasciandoli a terra. Nelle stazioni ferroviarie e nei treni ad alta velocità i lavoratori in esubero sono la normalità. I problemi del settore pubblico in Italia sono simili a quelli sperimentati dalla Cina con le aziende a proprietà statale negli anni Novanta, ma molto più gravi. In Italia il settore privato funziona meglio di quello pubblico, ma non più di tanto. Numerose attività appaiono soggette a restrizioni da parte del governo e dei sindacati. La risposta all’ offerta è praticamente inesistente. L’ economia italiana privilegia il tempo libero più di quanto avvenga in molti altri Paesi, come dimostra il settore del commercio al dettaglio.