Gilet gialli, i francesi fanno guerra alle troppe tasse

di Caterina Galloni
Pubblicato il 30 Aprile 2019 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
Gilet gialli, è la guerra dei francesi alle troppe tasse

Gilet gialli, i francesi fanno guerra alle troppe tasse

ROMA – Gilet gialli, ma cosa sono davvero? Non c’è una spiegazione semplice. Non è un movimento con una guida formale, non ha una struttura dirigenziale, nessun programma di richieste accettato e per questo imprevedibili e difficili da gestire.

 Una cosa è certa. Ad agitarli sono le troppe tasse da cui i francesi, come gli italiani, sentono di essere oppressi. Il rapporto dei francesi con le tasse è stato sempre conflittuale. Nei duemila anni di storia più recente, le rivolte fiscali punteggiano gli annali. Ai tempi del Re Sole, Nicolas Fouquet iniziò la sua carriera di ministro delle finanze di Mazzarino stroncando una rivolta fiscale nel nord della Francia. 

Nel crepuscolo dell’impero romano, un vescovo che era anche esattore fiscale fece una brutta fine nelle mani del popolo esasperato. Lo racconta Gregorio di Tours. Ma veniamo ai tempi nostri. Nel maggio dello scorso anno, Priscillia Ludosky, una rappresentante del movimento e imprenditrice di 31 anni, ha lanciato una petizione online lamentando l’alto costo della benzina e del diesel in Francia. Reazione, praticamente nulla. Ludosky è una  pioniera del movimento populista che a volte viene accusato di essere razzista e di estrema destra. 

A ottobre del 2018 è stata contattata da Eric Drouet, un camionista di 33 anni, che si è unito per promuovere la petizione. Drouet è un appassionato di auto e con tendenze politiche estremiste: probabilmente, ora tra i gilet gialli è la figura più influente. In Francia c’è confusione se debba essere considerato di estrema destra o estrema sinistra. La motivazione iniziale di Drouet potrebbe essere stata l’ossessione per le auto e non di stampo politico; quando è intervenuto, i prezzi della benzina erano aumentati a causa del costo del petrolio a livello mondiale. La petizione on line di Ludosky a quel punto è esplosa, ha attirato centinaia di migliaia di firme.

Il 17 novembre, Drouet, di Melun, ha avuto l’idea di organizzare una protesta a livello nazionale contro le tasse sul carburante. Qualcun altro ha avuto la brillante idea che tutti indossassero dei gilet gialli ad alta visibilità che gli automobilisti francesi devono, per legge, avere nell’auto. I prezzi della benzina hanno alimentato rapidamente altre lamentele nella Francia suburbana rurale ed extraurbana, alcune pratiche, altre più esistenziali: la mancanza di servizi pubblici, l’alto costo della vita, una nuova tassa su alcune pensioni, il fatto che Macron avesse parzialmente abolito una tassa sulle ricchezza. 

C’è inoltre a convinzione che il ceto medio e basso francese  tassato ingiustamente a favore dei ricchi. E’ vero che negli ultimi decenni l’energia e le fonti di ricchezza locali sono state risucchiate da grandi fasce, come è accaduto nelle aree di altre nazioni. Tutto ciò si traduce nella convinzione che la Francia periferica non solo venga lasciata indietro ma anche derisa e imbrogliata da chi sta progredendo. Il risentimento, la sensazione di essere trascurati o ignorati, disprezzati o abbandonati o ancora umiliati, spiega il movimento di gilet gialli più di qualsiasi altro tipo di rimostranza. 

Il 17 novembre, il primo giorno di protesta, in Francia si sono mobilitate 283.000 persone: una cifra impressionante ma ben al di sotto di quelle raggiunte negli ultimi 20 anni per le proteste sociali. La protesta si è svolta non solo nelle grandi città ma anche nelle piccole: come il Tour de France, è stato un evento nazionale. 

Le persone che prima si sentivano impotenti improvvisamente provavano la sensazione contraria perché potevano fermare auto e camion in una rotonda. Le persone che si erano sentite invisibili, indossando i gilet gialli erano ad alta visibilità. I gilet gialli hanno permesso alle persone piene di rabbia di allontanarsi dai computer o smartphone per incontrarsi e fare delle cose. Le proteste del 17 novembre sono state per lo più pacifiche: poca violenza, tranne qualche rissa a Parigi con la polizia, con gli automobilisti che bloccavano le rotonde. 

Il 24 novembre, seconda protesta del movimento, a Parigi c’è stata un po’ di violenza: la polizia ha reagito con forza a un attacco da parte di manifestanti presenti sugli Champs-Élysées. Ci sono state diverse persone ferite gravemente dalle armi della polizia. Un episodio considerato dai siti GJ come deliberata violenza da parte delle forze dell’ordine e repressione, accendendo gli animi per il successivo fine settimana. Il 1° dicembre, terza protesta, fin dal primo mattino alcuni manifestanti sui 20, 30, 40 anni, avevano attaccato la polizia. 

L’Arco di Trionfo è stato deturpato con dei graffiti, la polizia presa di mira con acido, vernice, bulloni di ferro, pietre e bottiglie. Gli edifici intorno all’Étoile incendiati. Una folla si era riversata lungo l’Avenue Kléber, rovesciando e bruciando auto, distruggendo le vetrine di banche, negozi e ristoranti. 

Prima dell’8 dicembre – quarta protesta – c’erano state notizie che parlavano di insurrezione con armi ed esplosivi. Un agitato Macron aveva visitato il bunker nucleare dell’Eliseo per assicurarsi che ci fosse un posto in cui rifugiarsi. L’8 dicembre è stata nuovamente una giornata violenta, non solo a Parigi ma in diverse città. Non tuttavia la rivoluzione temuta. La violenza questa volta è stata per lo più provocata dai manifestanti di estrema destra ed estrema sinistra. Alcuni gilet gialli “ordinari” erano entrati in scena e la polizia aveva risposto con più aggressività. 

Da allora ci sono state altre proteste, alcune più violente, altre meglio supportate. La violenza è passata da Parigi alle città di provincia, in particolare Tolosa, Bordeaux, Caen, Rouen e Rennes. Il numero di manifestanti è sceso a circa 60.000. La rivolta della rotonda è quasi finita. Il sostegno nelle aree rurali sta rallentando. Non c’è stato alcun tentativo sistematico di reprimere la protesta ma le cosiddette armi difensive della polizia, proiettili di gomma e granate stordenti, sono diventate un serio problema che il governo è stato assai lento a riconoscere. 

In Francia la protesta scende in strada più rapidamente che in qualsiasi altro Paese democratico, le richieste senza una dimostrazione non vengono prese seriamente e le dimostrazioni, senza una dose di violenza non lo sono altrettanto. Ma nel movimento dei gilet gialli c’è qualcosa di davvero poco francese: prima di tutto ha infranto tutte le regole delle manifestazioni francesi. Le proteste solitamente seguono limiti ben precisi, con luoghi e strade concordate e agenti. I disordini accadono ma sono prevedibili.

I gilet gialli fin dall’inizio hanno rifiutato di essere vincolati da una qualsiasi di queste regole, anche se ora sembra ci sia un cambiamento. Nelle città francesi, la violenza non si limita alle proteste del solo sabato. Ci sono state decine di incendi dolosi e altri attacchi contro gli uffici dei parlamentari che sostengono Macron. Ci sono stati attacchi a caselli autostradali, giornali e stazioni radio. Municipi, prefetture e altri edifici pubblici sono stati vandalizzati. I gilet gialli non provengono dai consueti canali di protesta, ovvero  sindacati, agricoltori, studenti, banlieu multirazziali. Provengono da una parte della società francese che di solito è invisibile, che brontola continuamente ma poco impegnata nella politica. 

I gilet gialli includono i disoccupati, gli emarginati, persone con lavori a bassa retribuzione, pensionati, artigiani, piccoli imprenditori o tecnici o persone al livello più basso delle professioni assistenziali. Questo mix di sostenitori spiega in parte il carattere eterogeneo e le richieste del movimento, che punta sia a destra sia a sinistra, a prestazioni sociali e pensioni più elevati, ma anche a tasse più basse. Non esiste un’ideologia coerente né un rifiuto dell’ideologia. 

Alcuni lo vedono come il camuffamento di un movimento il cui cuore batte all’estrema destra. Ma molti dei consueti argomenti cardine di estrema destra – migrazione, Islam, aborto, matrimonio gay, Europa – non sono i primi di cui parlano i gilet gialli. Quali sono i motivi di risentimento e quanto sono giustificati? Le parole che dicono più spesso sono “disprezzo” e “stufo marcio”. Per quanto riguarda il primo termine, i gilet gialli sono convinti le persone di ceto medio o basso siano disprezzate da chi è ricco, trendy, orientato al mercato globale della Francia metropolitana di successo. 

Per questo Macron forse suscita rabbia e odio: non tanto per ciò che ha fatto, per ciò che rappresenta e per alcune cose che ha detto. Simboleggia il tipo di persona che non piaceva ai gilet gialli prima che diventassero tali o prima che arrivasse Macron. È l’incarnazione delle persone ricche, intelligenti, auto-replicanti delle classi dirigenti che hanno frequentato scuole di perfezionamento dell’élite governativa e pensano di sapere tutto. 

La seconda parola, “stufo marcio” trasmette la sensazione di esser a un punto di rottura. Ma la rabbia del movimento è qualcosa di nuovo e diverso che viene pompata attraverso i social media in cui spesso appaiono versioni amplificate di reali rimostranze mescolate a fake news. Ad esempio: “La Francia è stata ceduta alle Nazioni Unite”; “L’Alsazia è stata restituita alla Germania”; “I politici vivono nel lusso, se li spazziamo via avremo meno tasse e livelli di benessere più elevati”; “Brigitte Macron, come first lady, guadagna 550.000 euro all’anno”. In realtà non  guadagna niente. 

Assurdità sempre accompagnate, come spesso accade in altri Paesi, da un messaggio che annuncia che i media mentono. Il sospetto sui media, già elevato, è esploso al punto che giornalisti, giornali e stazioni radio sono diventati bersagli della violenza dei gilet gialli. I gilet gialli da movimento di protesta con richieste specifiche si è trasformato rapidamente in un movimento rivoluzionario fatto da improbabili rivoluzionari.

Il punto di vista di molti media stranieri è che queste siano proteste anti-Macron. E lo sono. Ma vanno oltre il solo presidente, chiedono che venga fatta fuori l’intera classe politica, a destra e a sinistra, perfino estrema destra ed estrema sinistra: dovrebbe essere sostituita da una democrazia diretta, con decisioni prese mediante referendum popolare. Una rivoluzione che è appena iniziata su internet e su Facebook ma vuole usare internet per imporre una nuova forma di governo e, al contempo, è anti-globalista e nostalgica per un tipo di Francia più semplice e tradizionale. 

Altro paradosso: il movimento si sta dividendo. Alcuni gilet gialli hanno deciso di entrare nel sistema politico tradizionale per cercare di riformarlo o distruggerlo dall’interno. tre liste antagoniste, a sinistra, a destra e al centro, sono in preparazione per le prossime elezioni europee. Quando, il 6 febbraio scorso, Luigi Di Maio è arrivato nei sobborghi a sud di Parigi, a Montargis, per farsi immortalare con i candidati della lista RIC, Ralliement d’initiative citoyenne, la visita inaspettata ha sollevato accese polemiche al punto che  la Francia ha richiamato l’ambasciatore da Roma in segno di protesta. 

È emerso che Di Maio era stato invitato da Christophe Chalençon – uno dei più estremisti tra i leader del movimento che precedentemente aveva evocato apertamente un colpo di stato militare in Francia – e non dalla leader della lista, Ingrid Levavasseur, la quale ha definito “squali” sia Di Maio che Chalençon.

Ma tutto ciò può aiutare Macron. Sta riprendendo quota nei sondaggi d’opinione e la Francia urbana si rivolge a lui affinché li salvi dal caos giallo. Ha dato 10 miliardi di euro di concessioni agli automobilisti e ai salari bassi. Ha avviato un “grande dibattito nazionale” attraverso centinaia di riunioni nei paesi e nelle città. Alle prossime elezioni europee, una lista di gilet gialli avrà i voti di Rassemblement National di Marine Le Pen e La France Insoumise, il partito della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon.

La rabbia dei gilet gialli è comprensibile. Ciò che fa paura è la loro furia. Da dove viene? Come si spiega il radicalismo degli assistenti domiciliari e dei meccanici che vivono nelle piccole città, che non conoscono le basi di come funziona il sistema politico e fiscale del proprio paese ma vogliono abbatterli entrambi? Quella furia ha molte origini ma la profondità e forza possono essere spiegate solo dall’effetto dei social media. I gilet gialli sono un fenomeno francese e una crisi francese. Indicano inoltre una più vasta crisi delle democrazie del XXI secolo.