Rai venduta a stranieri? Morte di giornali, internet soffocato: effetto riforma

Pubblicato il 15 Aprile 2015 - 11:08| Aggiornato il 16 Aprile 2015 OLTRE 6 MESI FA
Riforma Rai: vendita a stranieri e morte di giornali, minaccia art. 5 del ddl

Renzi e Berlusconi: c’eravamo tanto amati… ma ora è guerra aperta

ROMA – Il Governo Renzi vuole abolire ogni limite di legge alla pubblicità sulle reti Rai, un’operazione che può valere un miliardo e mezzo in più per la Rai e altrettanto in meno per le altre televisioni, per i giornali, per internet.

Già oggi la televisione, tutta, costituisce la più grave minaccia per i quotidiani e anche per internet. L’Italia è l’unico Paese dove la pubblicità su internet segna il passo, per il drenaggio attuato da Rai, Sky e Mediaset con ragioni e modi diversi ma tutti con lo stesso risultato: ucciderci.

In particolare, i giornali quotidiani nazionali, Repubblica, Corriere della Sera e Sole 24 ore prima di tutti, saranno spazzati via o ridotti a poco più di nulla se passerà la riforma della Rai studiata da Matteo Renzi.

È la conseguenza della norma scoperta fatta da Francesco Maesano sulla Stampa di Torino, che è andato a leggersi il ddl buttato là il 3 aprile 2015, Venerdì Santo, dal Governo.

Per spiegare la scelta di Matteo Renzi ci sono tre ipotesi:

1. è il primo passo verso una vendita a privati della Rai, scorporando una Rete 3 finanziata solo dal canone, che più o meno dovrebbe dare, se alla Rai fossero capaci, un gettito analogo, attorno al miliardo e mezzo. Resterebbero due reti principali, 1 e 2, totalmente finanziate dalla pubblicità, un colosso da   euro, pronte per essere messe sul mercato. La prospettiva è inquietante: chi ha i soldi per comprare la Rai? Un condominio stile Rcs? Una catena di sub holding stile Repubblica? Un potentato straniero? Oggi solo un non europeo come  Murdoch è escluso: ma ce ne sono di soldi in giro per l’Europa e la prospettiva di mettere le mani sulla Rai è allettante. Sky Plc, la Sky inglese, vale 3 volte il fatturato. Con la mossa di Renzi la Rai andrebbe a 2 miliardi di ricavi da pubblicità, il che fa 6 miliardi di valore. Chi li può mettere sul piatto?

2. si tratta solo di una mossa per terrorizzare Berlusconi e indurlo a più miti consigli da qui a quasi l’eternità;

3. ha prevalso la corrente comunista del partito Rai, quella che da anni vuol uccidere Berlusconi alzando il tetto Rai. Lo teorizzò anni fa il rappresentante del Pci o mutazione nel Consiglio di amministrazione Rai ad alcuni editori riuniti in sede carbonara: “Per uccidere Berlusconi bisogna alzare il tetto Rai”. Gli fu risposto: “Se si alza il tetto Rai i giornali muoiono perché perdono una grande fettona di pubblicità. Non siamo kamikaze e non vi seguiamo” e fu mandato a stendere.

Quello che questi nemici oltre Alamo di Berlusconi non considerano è una semplice aritmetica, non chiedendosi da dove possano venire il miliardo e mezzo di euro: una parte certamente da Mediaset, ma Publitalia, il braccio pubblicitario di Mediaset, è una vera macchina da guerra, tutt’altro che gioiosa per le sue vittime.

Dal 2008 al 2014 il fatturato di pubblicità dei quotidiani italiani, si è ridotto alla metà, in parte per la recessione in parte per l’assalto di Rai e Sky: forse miravano a Mediaset ma colpivano i giornali.

Chi non ci crede guardi questi numeri. La pubblicità dei quotidiani, tutti assieme, dal 2008 al 2014 è passata da 1.525 milioni del 2008 a 743 del 2014, pari a meno 51%. Se si guarda alla composizione di quelle cifre si scopre che la pubblicità nazionale,  che in prevalenza vuol dire Repubblica, Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Giornale, Stampa e poi un pochino anche gli altri, è scesa da 735 a 328 milioni, meno 55%, mentre quella riassumibile sotto le etichette di servizio, rubricata e commerciale locale è scesa da 790 a 415 milioni, meno 47%.

La differenza fra i due confronti dice molte cose:

a. non è così vero che Google ruba la pubblicità ai giornali, come sostengono un po’ vanamente gli editori: nel calo della rubricata c’è anche il taglio degli appalti pubblici negli anni di crisi, le leggi fatte per limitare la trasparenza sugli appalti riducendo la pubblicazione sui giornali. Google ha stroncato le pagine gialle, più che i giornali.

La botta ai giornali l’ha data il gioco di biliardo tra Sky e Rai contro il boccione Mediaset. Si sono scannati tra di loro, hanno fatto traballare il sistema dei prezzi, e hanno messo in ginocchio i giornali. Una parte del loro calo è finita su Sky, una parte è finita su Rai e Mediaset.

b. La pubblicità nazionale dei quotidiani continua a scendere. Nel 2014 è stata di 328 milioni di euro, meno della metà di inizio crisi. Quanti ne resteranno quando la Rai avrà mano libera?

Quando il gioco delle tre carte dei comunicati e dei “per saperne di più” ha fatto balenare agli occhi degli addetti ai lavori la riforma della Rai, tutti i commentatori si sono scatenati a elaborare sulla nuova governance della nuova Rai, che è una balla, mentre nessuno si è andato a leggere cosa c’è dietro frasi di sapore leguleio e noioso come quella all’articolo 5 comma 1 del ddl:

1.Sono abrogate le seguenti disposizioni:
a) articoli 17 e 20 della legge 3 maggio 2004, n.112;
b) articolo 50 del decreto legislativo 31 luglio 2005. n.177

Commenta Francesco Maesano, che però vede la novità solo in termini anti Mediaset e non coglie la minaccia per il suo stesso posto di lavoro:

“Il punto sembra tutto tecnico, ma dietro c’è la sostanza vitale della raccolta pubblicitaria e quella politico-culturale del duopolio Rai-Mediaset. Squadrando il documento ci si accorge infatti che alla lettera A dell’articolo 5 si decide l’abolizione degli articoli 17 e 20 della legge Gasparri.

Il primo, in particolare, prevede al comma 2 lettera O «il rispetto dei limiti di affollamento pubblicitario previsti dall’articolo 8, comma 6, della legge 6 agosto 1990, n. 223». È la legge Mammì, che sul punto prescrive: «La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria pubblica non può eccedere il 4% dell’orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un’eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva».

Se il ddl di iniziativa governativa dovesse essere approvato così com’è, questi limiti di affollamento sparirebbero. Certo, resterebbero in piedi quelli previsti dal Tusmar, il testo unico dei servizi di media audiovisivi e radio, ma sarebbe il primo passo di una deregolamentazione per la quale, solo da Rai Uno, si stimano maggiori introiti per mezzo miliardo di euro l’anno. Risorse che, inevitabilmente, affluirebbero verso viale Mazzini modificando gli attuali equilibri del sistema.
L’idea che sembra tentare palazzo Chigi è quella di arrivare a un’abolizione del canone”.

Questo almeno in apparenza, perché in natura e in contabilità nulla si crea e nulla si distrugge. Vorrebbe dire che il canone lo pagheranno anche quelli che non hanno la tv.  Quello dell’aumento degli introiti pubblicitari è, scrive Francesco Maesano, un

“percorso che il Ddl che verrà presentato nei prossimi giorni, forse già in settimana, in commissione trasporti al Senato sembra voler perseguire con decisione.

E se passando al microscopio legislativo il Ddl salta fuori questa abrogazione dei limiti dell’affollamento pubblicitario, occorre utilizzare il grandangolo della politica per inquadrare la scelta del governo in una partita più complessa, nella quale entra in gioco anche l’offerta di Ei Towers, controllata del gruppo Mediaset, per l’acquisto delle torri di RaiWay. Offerta peraltro bloccata lunedì dalla Consob dopo che l’Ei Towers aveva abbassato il tiro dal 66,7% al 40%, nel tentativo di tenere in vita un’offerta che sin dall’inizio era parsa illegittima, comportando l’acquisto di una quota eccedente il 49%, limite fissato dal ministero dell’Economia e dalla Rai nella vendita delle sue antenne.