Cinema, “popolari e di qualità si può?” chiede il New Yorker

Pubblicato il 4 Gennaio 2010 - 11:08 OLTRE 6 MESI FA

I grandi registi del passato – da Chaplin a Hitchcock, passando per Bergman e De Sica – non avrebbero mai immaginato di realizzare i propri film per una ristretta platea di “intenditori”. Pensavano, semplicemente, che fossero diretti a tutti. Ma negli ultimi trent’anni il cinema è andato sempre più dividendosi in due precise e ben distinte categorie: i blockbuster destinati a un pubblico di massa – che privilegiano le sensazioni rispetto alle emozioni – e i titoli “d’autore” – dedicati per lo più a temi difficili e dolorosi e per questo invisi alla maggior parte degli spettatori.

Riflettendo su questa evidente scissione, David Denby del New Yorker stila la propria classifica dei migliori film dell’ultimo decennio, tenendo conto di titoli che, però, abbiano saputo parlare a un pubblico ampio senza rinunciare alla qualità, né a un significato più profondo.

La lista si apre con “Lo scafandro e la farfalla” di Julian Schnabel, vincitore del premio per la regia al festival di Cannes del 2007, che si basa sull’omonimo libro di ricordi del giornalista francese Jean-Dominique Bauby, colpito da un ictus che lo ha lasciato per anni isolato dal mondo, con cui poteva comunicare solo attraverso il battito della sua palpebra sinistra.

“Il petroliere” di Paul Thomas Anderson, candidato a due Golden Globe e a 8 premi Oscar nel 2008, lo segue con la parabola dell’arido Daniel Plainview, insieme a “Le vite degli altri” di Florian Henckel von Donnersmarck che indagando la scena culturale della Berlino Est, controllata dalle spie della Stasi, si è guadagnato l’Oscar come migliore film straniero nel 2007.

“Mystic River” di Clint Eastwood si conquista un posto grazie alla maestria con cui costruisce l’azione nel presente, basandosi sulle rivelazioni che pian piano emergono dal passato, mentre “La tigre e il dragone” di Ang Lee merita una menzione speciale per le leggendarie scene di combattimento girate dal vivo, con pochissimi effetti speciali, che si sommano all’itensa e spettacolare fotografia.

Michael Hanake, maestro del sospetto e del peccato, si conferma uno dei registi del decennio con “Niente da nascondere” e “Il nastro bianco” (con cui quest’anno si è aggiudicato la Palma d’oro), insieme all’esilarante Judd Apatow, incoronato re della commedia grazie a pellicole come “Molto incinta” e a “Funny people”, che attraverso un umorismo dissacrante rivelano la tenera umanità dei suoi personaggi.

La vera novità degli anni Zero è però il successo di film d’animazione intelligenti, originali e sottilmente impegnati, che hanno dato nuova linfa vitale a un genere che ormai sembrava paludato nei luoghi comuni delle vecchie e trite favole buoniste. Il merito va soprattutto alla Pixar, che ha saputo appassionare milioni di fan con “Gli Incredibili”, “Ratatouille” e “WALL-E”.

Tra i documentari, “Una storia americana” di Andrew Jarecki brilla per la straordinaria delicatezza e il tatto con cui affronta un brutale caso di cronaca legato alla pedofilia, oltre che per la vincente intuizione di alternare la ricostruzione dei fatti ai filmini che la famiglia Friedman, al centro dei misteriosi e torbidi eventi, narrati aveva l’abitudine di girare.

Lat but not least, uno dei capolavori di Pedro Almodóvar, “Parla con lei”, che entra in classifica per la malinconia del suo soggetto e per la chiave lieve, ma molto intensa, con cui tratta l’amore che lega due uomini, profondamente diversi, a un’unica giovane donna entrata in coma.