Cannes, critiche sull’epico “Exodus”, ma Mikhalkov si difende: “Nessuno stalinismo, un film per i giovani sui sacrifici della Russia”

Pubblicato il 24 Maggio 2010 - 18:19 OLTRE 6 MESI FA

Nikita Mikhalkov

Il sessantaquattresimo Festival di Cannes si è chiuso tra le polemiche di respiro internazionale e politico. Il protagonista della domenica di film e critiche è stato il regista russo Nikita Mikhalkov, che al concorso ha portato “Exodus”, seconda parte della trilogia inziata nel 1994 con “Il sole ingannatore”.

La pellicola riprende le vicende del generale dell’Armata Rossa Kotov, interpretato dallo stesso Mikhalkov, e di sua figlia Nadia, impersonata dalla figlia del regista, Nadejda, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, o Grande Guerra Patriottica, com’è chiamata nella Federazione. Ma non è un film di guerra, tiene a precisare il regista, bensì “una storia d’amore tra un padre e una figlia”.

Nonostante la grandiosità di certe scene di massa e sequenze di scontri, i colleghi connazionali non hanno apprezzato il film. Oltre alle accuse ormai vecchie di simpatie per il premier Vladimir Putin, ora nell’occhio del ciclone sono finiti i costi per la produzione, eccessivi, secondo i cineasti nazionali, al punto da fare dell'”Exodus” il film più caro della storia russa. Mikhalkov si difende: “È costato 40 milioni di dollari, non 50. Di soldi pubblici ho avuto solo due milioni di dollari, uno per “Exodus” e uno per il terzo episodio della saga. Il resto viene dagli sponsor”.

La difesa non ha perà placato le critiche. Mikhalkov è tacciato di “autoritarismo” per il modo in cui dirige la l’Unione della categoria russa di cui è presidente dal 1997. Novanta cineasti russi hanno firmato una petizione contro la sua gestione.

Come se tutto questo non bastasse, non piace ai  critici il perpetuo oscillare della narrazione tra 1941 e 1943, e non piace soprattutto “l’apologia dello stalinismo” che verrebbe fuori dalla pellicola. Il regista respinge le critiche e spiega: “Per i veterani è difficile distruggere la figura di colui che li ha spinti a combattere, anche se nel mio film Stalin appare anche  ridicolo. Ma soprattutto non è Stalin il centro del film, che è una storia d’amore tra un padre e una figlia”.

E se la critica nazionale insiste dipingendo il sequel del “Sole ingannatore” “uno strano miscuglio di simboli, sovietici, russi, evangelisti, stalinisti”, l’autore difende la sua creatura, e la visione della guerra, antieroica e anti-hollywoodiana, che ha portato in scena: “Ho voluto mostrare il processo che porta calla guerra e come la vive un soldato russo, nella sofferenza, nelle privazioni, nella paura. I giovani non leggono più, non conoscono il passato, vivono un instabile presente. Ho voluto dare a tutti loro un film su tanti soldati che sono morti per il nostro Paese”.