Venezia, presentato “Il sangue verde”: la parola ai disperati di Rosarno

Pubblicato il 2 Settembre 2010 - 16:52| Aggiornato il 3 Settembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Un film verità, ‘Il sangue verde’ del regista padovano Andrea Segre, ha portato alla Mostra del Cinema di Venezia la voce dei protagonisti della ‘rivolta’ di Rosarno, e, insieme, uno spaccato della realtà calabrese, di storia dei braccianti del sud.

Mentre Abraham, John, Amadou, Zongo, Jamadou, Kalifa, Salis raccontano i giorni degli scontri e le condizioni di vita dei braccianti neri, Giuseppe Lavoratore, ex sindaco di Rosarno, piccolo paese della Calabria feudo della ‘ndrangheta, ricorda i tempi in cui gli agricoltori autoctoni lavoravano 15 ore al giorno, scelti la mattina nelle piazze dai ‘caporali’ del lavoro nero.

”Nel dopoguerra le famiglie di Rosarno avevano sette, otto figli, i braccianti andavano in Piazza del Popolo, venivano scelti i più forti – spiega Lavorato – ma con la trasformazione degli anni ’70, con gli interventi pubblici, il raddoppio ferroviario e l’autostrada, i guardiani dei campi diventano guardiani dei cantieri, ottengono il trasporto e l’impiego della manodopera, il subappalto, l’appalto”.

Finché ”la piana di Rosarno diviene uno dei maggiori centri di potere della ‘ndrangheta”. Negli anni ’80, il potere della ‘ndrangheta sul mercato, l’utilizzo illecito dei finanziamenti e la globalizzazione stravolgono l’esistenza dei piccoli agricoltori di Rosarno, la manodopera nera diventa ‘necessaria’.

Le condizioni di vita dei nuovi braccianti sono peggiori di quelle di coloro che li hanno preceduti: non hanno casa, documenti, il lavoro è duro e loro soffrono molto di più il freddo dell’inverno, quando si raccolgono le arance, perché vengono dal Burkina Faso, dal Mali, dal Marocco.

”Sono scappato dal mio paese per i problemi che avevo e per trovare la pace, ma vivere qui è terribile”, racconta uno di loro. ”E’ un lavoro che conviene non fare a lungo – dice un altro – perché rischia di costarti la vita”.

Il docufilm si svolge su due piani paralleli, i racconti degli immigrati e quello del sindaco, con inserti di filmati d’epoca. Ne risaltano, senza retorica, le condizioni di degrado e ingiustizia di migliaia di braccianti africani impiegati nella raccolta delle arance.

L’esplosione della ‘rivolta’ scatena la ‘caccia al nero’ e il Governo decide lo sgombero di tutti gli immigrati da Rosarno. Nei giorni successivi cala il silenzio sulla vicenda, ma quasi tutti i braccianti espulsi vengono abbandonati a se stessi, in giro per l’Italia.

Pochi giorni dopo le manifestazioni, Andrea Segre rintraccia alcuni di loro, li ascolta, li fa parlare davanti alla telecamera. ”Sono partito da una mia curiosità – racconta Segre – volevo capire cosa vive nel suo cuore, nella sua anima, nella sua intelligenza una persona che si rende conto dell’ingiustizia della propria esistenza, ma non può far altro che cercare di sopravvivere”.

Il titolo del film viene dalla frase di un immigrato, ”abbiamo tutti il sangue dello stesso colore, noi non abbiamo il sangue verde”. Domani, alla Mostra del Cinema, arriveranno e saranno disponibili per la stampa gli immigrati che parlano nel film, con loro anche l’ex sindaco di Rosarno.