Fejzulai Kujtim “non più jihadista”. E Austria rilasciò il killer di Vienna. Non solo da noi…

di Redazione Blitz
Pubblicato il 4 Novembre 2020 - 09:49 OLTRE 6 MESI FA
Fejzulai Kujtim "non più jihadista". E Austria rilasciò il killer di Vienna. Non solo da noi in Italia...

Fejzulai Kujtim “non più jihadista”. E Austria rilasciò il killer di Vienna. non solo da noi… (Foto da video)

Fejzulai Kujtim, il killer di Vienna, fu scarcerato un anno perché non più jihadista secondo la giustizia austriaca. 

Fejzulai Kujtim, l’attentatore ventenne ucciso a Vienna durante gli attacchi, era stato scarcerato perché considerato non più jihadista. La giustizia austriaca si era illuso che non fosse più un pericoloso radicale. Quando la giustizia non funziona non solo nel colabrodo Italia, ma anche nella severa Austria…

Kejzulai Kujtim non più jihadista, e l’Austria lo scarcerò

Kujtim subì una condanna a 22 mesi di carcere il 25 aprile 2019, per aver tentato di andare in Siria ed affiliarsi all’Isis. Era stato liberato il 5 dicembre, con anticipo. In quanto giovane adulto, rientrava infatti in un regime privilegiato previsto dalla legge a tutela dei giovani. Lo ha precisato il ministro dell’Interno austriaco Karl Nehammer. 

Giovanissimo, nato e cresciuto a Vienna, doppio passaporto austriaco e macedone. Era radicalizzato ma proveniente da una famiglia immigrata senza legami noti con l’estremismo. Il profilo del killer di Vienna che emerge in queste ore richiama alla mente i jihadisti del Bataclan e le loro origini tra le strade di Molenbeek in Belgio, da cui sono passati molti degli attentatori in Europa.

La condanna per terrorismo e la scarcerazione

A vent’anni, Kujtim Fejzulai aveva già alle spalle una condanna per terrorismo. Era tra gli almeno 90 islamisti austriaci che hanno tentato di raggiungere la Siria per unirsi all’Isis. Ad Hatay, nel sud-est della Turchia, sarebbe entrato in contatto con almeno due jihadisti tedeschi e uno belga.

A chiedere aiuto gli investigatori era stata anche la madre, denunciandone la scomparsa. Fermato dalla polizia di Ankara, venne rispedito in patria e incarcerato. La giustizia austriaca lo condannò a 22 mesi nell’aprile del 2019. Dalla prigione era però uscito in anticipo, lo scorso 5 dicembre, grazie alla buona condotta e a un regime privilegiato per il reinserimento sociale dei giovani.

“È riuscito a ingannare il programma di de-radicalizzazione e le persone che lo gestiscono”, ha spiegato il ministro dell’Interno austriaco Karl Nehammer. Una beffa per i servizi d’intelligence, visto che solo pochi giorni fa Fejzuali si era mostrato su Facebook in una foto con l’arma automatica e il machete usati durante l’attacco.

Una famiglia “assolutamente normale”

“Veniva da una famiglia assolutamente normale. Per me si tratta di un giovane che è finito in un giro di amici sbagliati”. Così ha detto l’avvocato Nikolaus Rast, che l’aveva difeso al processo. “Se non avesse frequentato la moschea e avesse fatto per esempio boxe sarebbe diventato un pugile. Non avrei mai ritenuto possibile che commettesse un attentato”.

Adesso, i riflettori vengono puntati sulle sue origini balcaniche. La famiglia proviene dalla minoranza albanese di religione musulmana della Macedonia del Nord, che tradizionalmente pratica una versione moderata dell’islam.

Emergenza radicalizzazione nei Balcani

Ma negli ultimi anni anche a Skopje è esplosa l’emergenza radicalizzazione. Soprattutto grazie alla diffusione di gruppi salafiti sempre più influenti. Si riuniscono spesso in moschee parallele a quelle ufficiali in abitazioni private e fuori dal controllo delle autorità. Un terreno di coltura che sfrutta finanziamenti dall’estero, favorendo il proselitismo con forme di welfare sotterraneo.

Nell’area dei Balcani, è diventato il territorio con il più alto tasso di foreign fighter jihadisti in rapporto alla popolazione musulmana. Conta circa 150 combattenti partiti per unirsi al sedicente Stato islamico, spesso portandosi dietro mogli e figli. La metà di loro è poi rientrata in patria, alimentando una fucina di potenziali terroristi indigeni. (Fonte Ansa)