Indignati: tende e web per riprendersi la democrazia

Pubblicato il 12 Ottobre 2011 - 20:02 OLTRE 6 MESI FA

ROMA, 12 OTT – Il principio è in un libro, come sempre. Un piccolo pamphlet che il partigiano francese Stephane Hessel mandò in libreria ad ottobre 2010. ”Indignez-Vous”, Indignatevi!: ad ispirare gli indignados di Madrid e quelli che nei giorni scorsi hanno occupato Wall Street, fino ad arrivare ai nostri ‘Draghi ribelli’ che in queste ore assediano Bankitalia, c’è un vecchio di 94 anni.

Per qualcuno sarà pure un cattivo maestro, ma per i giovani che in tutto il mondo stanno dando vita ad un movimento che cresce ogni giorno e che nessuno, oggi, sa dove arriverà, le sue parole sono chiarissime: ”A noi compete di vegliare, tutti insieme affinche’ la nostra società resti una società di cui possiamo essere fieri: non questa società di ‘sans-papiers’, di espulsioni, di sospetti verso gli immigrati, non questa società dove si rimettono in causa le pensioni, i diritti acquisiti… non questa società dove i media sono nelle mani dei ricchi”, dove ”lo scarto tra i più ricchi e i più poveri non è mai stato così importante e la corsa al denaro, la competizione, mai così incoraggiata”.

Non questa società dove ”le banche, ormai privatizzate, si mostrano preoccupate più dei loro dividendi e degli altissimi emolumenti dei propri dirigenti che dell’interesse generale”. Diritti, uguaglianza, ricchezza condivisa e, soprattutto, partecipazione. Ridurre il potere delle banche e delle multinazionali. Fermare gli speculatori. Questo chiedono gli indignati, ad ogni latitudine.

Toma la calle”, prenditi la strada era lo slogan dei primi, i madrileni che il 15 maggio scorso si sono presi la Puerta del Sol, centro nevralgico di Madrid. Dove la calle sta per la piazza, l’agorà greca dove tornare a parlare, a confrontarsi e a decidere il proprio futuro. A riprendersi la ”democrazia reale”.

‘Facciamo piazza pulita” è stato lo slogan utilizzato dagli indignati italiani nella manifestazione del 10 settembre scorso, quattro mesi dopo la prima apparizione ufficiale accanto agli indignados spagnoli a piazza di Spagna e tre mesi dopo il presidio ‘anti Brunetta’ a Milano. Sono studenti, precari, disoccupati, pensionati, attivisti, professionisti, lavoratori arrabbiati, cittadini di destra e di sinistra delusi dalla politica ma affamati di politica. A cui non basta, o non serve, Beppe Grillo. Senza capi, il tricolore come arma e uniti dalla voglia di cambiare il paese.

‘We are 99%”, siamo il 99 per cento è lo slogan risuonato in questo giorni a Wall Street. In Italia sono ancora pochi, ma aumenteranno. E il 15 ottobre, 15.0 su siti, social network e blog di riferimento, è il loro banco di prova. ”Col nostro futuro non mangia più nessuno”. ”C’è una generazione esclusa dai diritti e dal benessere – hanno scritto i Draghi ribelli al presidente Napolitano – che oggi campa grazie al welfare familiare, e sulla quale si sta scaricando tutto il peso della crisi. La questione non si risolve togliendo i diritti a chi li aveva conquistati, i genitori, ma riconoscendo diritti a chi non li ha, i figli”.

Loro, con tanto di maschera dai richiami orientali, si definiscono un nome collettivo, ”non un’entità virtuale ma tante persone in carne ed ossa” che si contrappongono ai ”feroci draghi occidentali”. Per organizzare, lanciare iniziative, discutere, parlano con il linguaggio del XXI secolo, Facebook, Twitter, blog. Su Italian Revoulution, il profilo Facebook capostipite dei siti che si rifanno al movimento nato a Madrid, in 30.500 discutono della necessità di stare ”uniti per il cambiamento globale”.

E se bacheche virtuali e social forum hanno sostituito in parte le assemblee sessantottine, le decisioni che contano si prendono in piazza, tutti assieme. Con delle regole precise, però: nessuno comanda, chi vuole parla, le bandiere dei partiti sono vietate, nessuna violenza, né verbale né fisica. E con le tende come simbolo: ”del precariato di oggi, che non è solo economico ma anche esistenziale”. ”Non gli si può rimproverare nulla” ha detto una settimana fa Ben Bernake. E se lo dice il presidente della Federal Reserve forse c’è da dargli ascolto.