Acca Larenzia, il Giornale: “Fu una strage brigatista”

Pubblicato il 10 Novembre 2011 - 13:58 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Per il Giornale la strage di Acca Larenzia, quella che nel 1978 costò la vita a  tre giovani militanti del Movimento Sociale Italiano, fu opera delle Brigate Rosse.

E’ il 7 gennaio 1978, sede del Msi di via Acca Larenzia a Roma, nel quartiere Tuscolano. Un commando composto da 7 o 8 persone apre il fuoco e uccide Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, tre giovani militanti.

Le indagini (secondo Gian Mario Chiocci sul Giornale “poche e condotte male”) si orientarono sui Nuclei armati per il contropotere territoriale, una delle tante sigle vicino all’estrema sinistra e attive nella zona sud di Roma. Ora, però, a distanza di 33 anni, ci sono elementi nuovi.

“Trentanni dopo – scrive Chiocci – quel filo rosso ha iniziato ad avvolgerlo l’allora numero tre delle Br, Antonio Savasta, che prima di pentirsi e disarticolare la sua organizzazione, giustiziava Taliercio e Varisco, interrogava il generale americano Dozier, custodiva la Renault 4 «carro funebre» di Aldo Moro. Nel bel libro di Nicola Rao («colpo al cuore», edito da Sperling & Kupfer) Savasta decide di confessare quanto sin qui mai rivelato su Acca Larenzia e sull’omicidio, da parte del suo gruppo, di un altro giovane missino, Mario Zicchieri. E nel farlo offre un formidabile riscontro a quanto scoperto da Valerio Cutunilli e Luca Valentinotti in un altro libro shock dal titolo «Acca Larenzia, quello che non è stato mai detto». Savasta si dilunga sul dibattito interno alle Br, «tra la fine del ’77 e l’inizio del ’78» sull’opportunità o meno di «attaccare i fascisti del Tuscolano»”.

 “Chi spingeva per colpire i neri apparteneva alla «Brigata Torre Spaccata» capeggiata da Francesco Piccioni, Remo Pancelli, Marcello Capuano, Giulio Cacciotti», da «Stefano e Marina Petrella», quest’ultima riparata in Francia eppoi difesa da Carla Bruni, signora Sarkozy, contraria alla sua estradizione. Savasta non ha certezze dirette ma, dice sicuro, «ho sempre avuto la convinzione, dopo quello che avevo sentito, che dietro quell’azione vi fossero i compagni della Brigata di Torre Spaccata, che sicuramente fornirono copertura, armi e mezzi»”.

Forse, è la tesi del brigatista pentito, alcuni dei “compagni” del Tuscolano parteciparono direttamente al raid. Nessuno, però, conclude Chiocchi “ha mai tirato il filo rosso. Perchè?”