MONTEBELLUNA (TREVISO – Chiede il rimborso per l’intervento del cambio di sesso eseguito negli Stati Uniti, la Usl non glielo vuole accordare, lui fa ricorso e il giudice gli dà ragione. E’ la storia di una giovane ventenne di Montebelluna (Treviso) che per sottoporsi all’intervento ha dovuto affrontare una causa legale nei confronti dell’azienda sanitaria locale che non voleva pagare l’operazione eseguita negli Stati Uniti.
La vicenda, riferisce Davide Nordio sul quotidiano La Tribuna di Treviso,
inizia alcuni anni fa, quando la ragazza mise a confronto due cliniche, una americana e quella italiana suggerita dal Centro Regionale di Riferimento di Padova. La prima indicava praticamente nulli i tempi di attesa, un intervento che sarebbe durato tre ore e mezza, tre giorni di convalescenza e l’azzeramento quasi completo della percentuali di eventuali complicanze. Per quella italiana ci sarebbe stata invece una lista d’attesa pari a 44 mesi, più di tre anni e mezzo, un tempo medio di intervento di cinque ore e mezzo e una percentuale di complicanze pari al 30 per cento. Dati che derivavano dalla maggior esperienza della clinica americana forte di 1300 interventi, contro i 157 eseguiti in quattordici anni da quella italiana.
Di fronte a questi numeri la ragazza ha chiesto l’autorizzazione alla Usl per poter sottoporsi all’operazione negli Stati Uniti con il rimborso. Ma, spiega la Tribuna di Treviso,
l’azienda socio-sanitaria ha detto no facendo scattare la causa civile approdata davanti al giudice del tribunale di Treviso, dove è stato riconosciuto il diritto della paziente a rivolgersi all’estero con l’autorizzazione della Usl.
(…) Chiave di volta della sentenza un decreto ministeriale sulle prestazioni altamente specializzate non ottenibili “tempestivamente o adeguatamente” presso strutture italiane pubbliche o convenzionate. Secondo il giudice in questo caso sussistevano i presupposti per concedere l’autorizzazione al’intervento nella clinca oltreoceano.