Carceri: 11 in cella, 1,5 m a detenuto, malati ammassati, wc ‘a vista’

(Foto LaPresse)

ROMA – Celle con dentro 8 o 11 detenuti che devono fare i turni per stare in piedi altrimenti non c’entrano e che hanno, a testa, solo un metro e mezzo di spazio vitale; malati di tubercolosi, di cuore, addirittura di scabbia ammassati tutti insieme, in celle troppo strette, dove il water è “a vista” e proprio accanto al tavolino dove si mangia. ‘Il Corriere della Sera’ entra in alcune carceri italiane e ne tira fuori un affresco cruento e al limite dell’immaginabile, fatto di strutture sovraffollate e di uomini, per la maggior parte in attesa di giudizio quindi non condannati, che vivono in condizioni quantomeno precarie.

Prima di tutto ‘Il Corriere della Sera’ ci ricorda che nel 2010 l’Italia ha raggiunto il record europeo di 68.258 detenuti. In poco più di un anno il numero si è mantenuto costante (oggi sono circa 67 mila detenuti). Sono compressi in spazi previsti per 45.681 persone. Più della metà sono in carcere in attesa di un giudizio. Il sovraffollamento è al 148%, il peggiore in Europa dopo la Serbia.

Dopo di che l’inviato del ‘Corriere’ Antonio Crispino ci porta con lui nel viaggio per le carceri italiane non nascondendo le difficoltà incontrate nell’oltrepassare il muro della “privacy” imposta dai responsabili delle varie case circondariali. In questa prima puntata (perché l’inchiesta promette di proseguire) Crispino visita due carceri: il ‘Gazzi’ di Messina e ‘Rebibbia’ a Roma.

Carcere “Gazzi” di Messina: Il giornalista racconta di aver visto in una cella “originariamente adibita al transito“, ben “otto detenuti. Scendono dai letti solo in quattro perché tutti in piedi non ci starebbero, fanno a turno. Hanno la tazza del water accanto al tavolino dove mangiano. Non c’è un muro divisorio o un paravento. I bisogni si fanno “a vista”, davanti a tutti. Ci sono quattro livelli di brande, l’ultima arriva proprio fin sotto il soffitto. Non c’è una scala per salire (in carcere è vietata). Chi capita ai piani alti deve arrampicarsi sugli altri“.

Si legge ancora: “Mentre passiamo per i corridoi, riscaldati con alcune stuffette alogene, alcuni detenuti implorano attenzione. In cella ne sono 11. Sono operati di cuore, diabetici, malati epatici, etc. Ci indicano un vecchio di 82 anni steso in branda. Lo chiamano ripetutamente ma non si muove. Ci sono malati di tubercolosi. Chi ci accompagna cerca di minimizzare mentre il medico incaricato del carcere ci dice che negli ultimi tempi c’è stata «una recrudescenza di alcune malattie infettive proprio come la tubercolosi e la difterite»”.

Carcere di Rebibbia, Roma. Non molto migliore sembra la situazione nel carcere di Rebibbia che, pure, è considerato una delle realtà detentive più dignitose. Scrive Crispino: “Da dietro le sbarre ci gridano di andare a vedere, sono tredici ristretti in quello che era una sala ricreativa. La guardia cerca di nascondere. «Questa non è una cella, è una saletta per il ping pong» dice mentre con una mano oscura la telecamera. Si rischia la rivolta. Il primo a ribellarsi è quello che porta il rancio nelle celle: «Non potete nascondere sempre, fatelo entrare e fate vedere qual è la realtà». Non riusciremo a vedere cosa c’è in quella cella. «Ci trattano come maiali, non siamo nemmeno più numeri – protesta un detenuto qualche cella più avanti -. Ci cuciniamo nel posto dove facciamo anche i bisogni. Di quale riabilitazione parlano?»”.

 

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