Carlo Parlanti, italiano detenuto negli Usa: “Il mio incubo non è finito”

MONTECATINI TERME (PISTOIA) – ''Il mio incubo non e' finito e io non voglio dimenticare''. Sono le prime parole da uomo libero di Carlo Parlanti, che ha passato quasi 9 anni in carcere (tra Germania e Stati Uniti) con l'accusa di aver picchiato e violentato l'ex-compagna Rebecca McKay White. Parlanti, 48 anni, ex manager informatico, ha sempre negato tutte le contestazioni che gli sono state fatte, ma non gli e' mai stata concessa la possibilita' di una revisione del processo che lui ha sempre considerato un errore giudiziario.

''Voglio riaprire il caso – ha detto nella sua abitazione di Montecatini (Pistoia) – e sporgere denuncia contro chi ha indirizzato in una certa direzione il processo. Per esempio i medici con le loro certificazioni false o la donna che mi ha denunciato dichiarando cose non vere, o ancora contro chi ha insabbiato e tenuto nascosti atti ufficiali che mi avrebbero scagionato. E stavolta devono intervenire l'Interpol e l'Fbi e non la polizia locale californiana''.

Ma perche' i medici sono stati in grado di condizionare il processo? ''Solo una perizia medica – ha risposto Parlanti – e' stata ammessa nelle fasi processuali. E si tratta di un dottore che era il datore di lavoro della migliore amica della presunta vittima. Negli Usa, dove ormai la societa' e' in rottamazione, un medico che riceve la visita di una donna che dice di essere stata percossa, conferma sempre i fatti che gli vengono raccontati, altrimenti il giorno dopo si ritrova un picchetto davanti all'ambulatorio''.

''Mi aspettavo da parte loro un maggior coinvolgimento del Ministero degli Esteri durante il mio linciaggio giudiziario e invece non e' stato fatto tutto quel che si poteva fare'', ha poi detto Parlanti, atterrato questa mattina all'aeroporto di Fiumicino di Roma, accompagnato da agenti dell'immigrazione Usa, che gli hanno tolto le manette solo dopo che l'aereo stava sorvolando l'Oceano.

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