Caso Claps, il gip e la perizia “sbagliata” del dna: ecco tutto quello che manca

Pubblicato il 18 Ottobre 2010 - 21:02 OLTRE 6 MESI FA

Elisa Claps

”L’incompletezza” della perizia di Vincenzo Pascali sul dna, contestata oggi, 18 ottobre, dalla procura di Salerno, si traduce in un lungo elenco nell’ordinanza di incidente probatorio del gip. Mancano gli accertamenti, ad esempio, sugli abiti di Restivo prelevati in Inghilterra, mancano indicazioni sulla quantità di alcune tracce genetiche non esaminate, mancano perfino le informazioni per definire scientificamente il kit utilizzato dal perito nelle sue analisi.

Per il gip Attilio Franco Orio, “mancano alcuni esiti informativi su dati e circostanze incidenti sulle problematiche sollevate dal pm, e che influiscono direttamente almeno sulla questione di completezza degli accertamenti in corso”.

L’elenco è lungo: “Manca un accertamento sulle tracce biologiche, sulle caratteristiche e profilo genetico dei reperti appartenuti al cadavere (almeno il femore e le mani) che rientravano almeno tra i primi 95 reperti affidati. Mancano informazioni sul bottone rosso. Mancano accertamenti su alcuni indumenti prelevati a Bournemouth (mutande e vestaglia, ma anche federe di cuscino e sandalo). Manca l’indicazione causale e modale per la quale alcuni reperti ‘non recavano tracce di cui si potesse supporre la natura biologica’. Pertanto fra i reperti di interesse probatorio astrattamente rilevante ne sono stati annoverati 34 ‘dai quali non è stato possibile ricavare campioni’.

“Manca l’indicazione della quantità di campioni prelevati per ciascun reperto o comunque la loro posizione rispetto al reperto, e quindi potrebbe non essere preclusa un’ulteriore campionatura dai medesimi reperti già analizzati. Mancano informazioni su possibilità alternative, o meno, di estrazioni di profili dna su capelli, loro resti e formazioni pilifere di diversa provenienza, e su ogni altro materiale biologico che sia all’apparenza molto degradato’.

”Mancano indicazioni su alcuni aspetti consequenziali ma di sicuro interesse anche per gli esiti delle altre perizie – prosegue il gip -, ad esempio: i prelievi sulle zone ungueali hanno dato risultati non omogenei… Non si sa se la ‘presunta sostanza ematica presente su un chiodo nella zona di ancoraggio delle tegole’ sia poi risultata effettivamente di provenienza ematica o meno, oppure se vi fossero tracce biologiche-ematiche sui resti di indumenti indossati dalla vittima, oppure se le formazioni pilifere ritrovate dagli altri periti su tegole, reggiseno, mani e slip, fossero o meno di natura umana e, in caso positivo, se di essi fosse possibile un esame di tipo mitocondriale…. Il tutto, come per altri reperti, anche affini comparativi con il dna della vittima o in caso negativo con il dna dell’indagato”.

Il gip contesta poi la mancata descrizione scientifica degli strumenti utilizzati per i rilievi sul dna: ”Mancano informazioni sul concetto di ‘kit normalmente in uso’, locuzione non definitoria di eventuali altri kit ‘non normalmente in uso e sulla quale si innesta l’ulteriore accertamento, anche preliminarmente come metodologia di indagine, se vi fosse la possibilità di ulteriori, più evoluti ed aggiornati strumenti di rilevazione di dna antichi e degradati eventualmente impiegabili per il caso in esame, così superando la relatività di una dizione di ‘normalità ‘ di cui allo stato non è precisato il riferimento temporale-logisticio-modale-scientifico”.

Non basta: il gip contesta anche il criterio di numerazione dei reperti. ”Manca, infine, – conclude – un criterio di numerazione assoluto ed oggettivo dei reperti analizzati, sovrapponibile ed aderente alla numerazione dei reperti affidati”.