Delitto dei cinesi: il marocchino “suicidato” dalla Triade?

di Warsamè Dini Casali
Pubblicato il 17 Gennaio 2012 - 11:40 OLTRE 6 MESI FA

Torpignattara, il luogo del duplice delitto

ROMA – Si sarebbe tolto la vita perché la coscienza gli rimordeva, uno capace di sparare a sangue freddo a un uomo con una neonata in braccio? O la mafia cinese, la cosiddetta Triade, ha voluto lanciare un messaggio ed occuparsi personalmente della protezione della comunità? Il marocchino fuggiasco, uno degli autori del duplice delitto di Torpignattara, nel quale sono rimasti uccisi Zhou Zheng e la figlia di 6 mesi Joy, ha finito la sua corsa in un casolare abbandonato sulla via Boccea, a Roma ovest, dalla parte opposta della città che era solito frequentare.  Troppi elementi fanno dubitare delle certezze fin qui acquisite dagli investigatori: “Per noi Mohamed Nasiri si è suicidato, perché tutti lo avevano abbandonato” sostiene Maurizio Mezzavilla, colonnello dei Carabinieri. La tesi sarebbe confermata anche da un ferramenta della zona che gli avrebbe venduto la corda e che ha riconosciuto il marocchino da una foto segnaletica. Lo scontrino nelle tasche del fuggiasco avvalora la tesi.

Anche la portavoce della grande comunità cinese di Roma, Lucia King, ha delle perplessità e il grande rammarico che Nasiri non  sia stato portato di fronte a un Tribunale. Non vuol sentir parlare di mafia cinese, “basta con le favole della giustizia fai-da-te, non siamo animali, siamo solo sgomenti”. Ma quel “suicidio canonico” non convince nemmeno lei. Il complice di Nasiri, intanto, è ancora a piede libero, da giorni si sono perse le sue tracce, è ricercato anche in Francia. Quello che è avvenuto nell’azienda agricola abbandonata sulla Boccea resta un giallo.

Come ci è arrivato Mohamed Nasiri al casolare? Nessuna traccia di un motorino, un’auto rubata, niente è stata rinvenuta sul posto, isolato a tre chilometri di distanza dalla strada principale. Il gancio da macellaio dove era appesa la corda è ancora lì sospeso a tre o quattro metri di altezza: come ci si è arrampicato, dove è finita la scala o il supporto che lo hanno sorretto un attimo prima di spirare?  Il banchetto ai piedi del cadavere è davvero troppo basso. Per terra sono state trovate solo due bustine di veleno per topi: bisognerà attendere l’autopsia prima di capire se ne abbia ingerito un po’, volontariamente o a forza.

La dinamica del duplice omicidio, la caccia all’uomo, la refurtiva con i soldi del Money Transfer, le soffiate giunte agli inquirenti e che hanno scatenato una indagine parallela a quella delle forze dell’ordine, tutto concorre a immaginare un giustiziere. O un vendicatore che si sia assunto l’incarico di lavare con il sangue lo sgarro dell’uccisione di un bambino e insieme mandare un messaggio ai balordi e ai cani sciolti: i soldi del Money Transfer non si toccano. Ipotesi suggestiva, l’ha rilanciata anche lo scrittore di noir Massimo Carlotto. Tutt’altro che campata in aria, però.

E’ un fatto che da Money Transfer passino anche tutti i proventi delle attività criminali e dell’evasione fiscale. La Finanza ha fatto scattare controlli su tutti i money transfer di Roma e ha scoperto un mondo sommerso fatto di riciclaggio di denaro. Dagli sportelli di Roma è partito un tesoro da 1,7 miliardi do euro, la metà con destinazione Cina. “Nel triennio 2007, 2008 e 2009 da un’agenzia in zona Termini sono partiti 346 milioni e 978.870 euro attraverso trasferimenti accompagnati da codici fiscali e documenti falsi” ricordano gli ispettori della Finanza. Siamo nel campo delle congetture e troppo forte è la suggestione di un “padrino” che come Don Vito Corleone tra gli immigrati di Little Italy proteggeva, giudicava ed comminava condanne esemplari al posto di una giustizia ufficiale poco attenta alle istanze di una comunità straniera. Ma quel banchetto ai piedi del cadavere rafforza le inevitabili suggestioni.