“Coprirono il raid fascista del figlio di Alemanno”. Indagati due poliziotti

Pubblicato il 13 Aprile 2013 - 08:56 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Due agenti della questura di Roma, Roberto Macellaro, autista personale nel tempo libero del sindaco e consorte, e Pietro Ronca, ispettore capo prima del commissariato Flaminio, poi trasferito a Primavalle, sono indagati per falso in atto pubblico, favoreggiamento e omessa denuncia dopo la rivelazione, da parte del Fatto Quotidiano, che coprirono la partecipazione a un “raid fascista, in cui era presente il figlio del sindaco di Roma Gianni Alemanno”, Manfredi, secondo quanto scrive la Repubblica.

Manfredi Alemanno, all’epoca dei fatti, aveva 14 anni. Repubblica fa anche notare che il nonno di Manfredi Alemanno era Pino Rauti, esponente del Msi e della ala estrema neo fascista. I due poliziotti sono stati iscritti nel registro degli indagati dal pm Barbara Zuin, della Procura della Repubblica di Roma. I fatti all’origine dell’inchiesta risalgono al 2 giugno 2009.

Cosa accadde? Il 2 giugno del 2009, Manfredi Alemanno, allora quattordicenne, partecipò insieme a 4 coetanei e 4 ragazzine, a una festa nella piscina di un condominio della Camilluccia, quartiere della Roma bene. I giovani, una volta nel comprensorio, iniziarono cori che inneggiavano al duce e alzarono le mani per il saluto romano.

Il pomeriggio di quel 2 giugno, però, le esternazioni di estrema destra furono bloccate da chi aveva organizzato quella festicciola: uno degli adolescenti presenti zittì i canti fascisti e invitò il gruppetto a lasciare la festa. A questo punto la situazione degenerò: uno degli amici di Manfredi, dopo aver fatto presente di far parte del Blocco Studentesco (l’organizzazione giovanile di CasaPound della quale Alemanno jr diventerà nel 2011 rappresentante nel suo liceo) annunciò vendetta.

Scrive Repubblica:

Col suo cellulare cominciò a fare decine di chiamate. Di lì a poco arrivò un gruppo di maggiorenni, 4-5 ragazzi secondo i testimoni, che iniziò a picchiare, anche con un casco, l’adolescente che si era opposto alle loro manifestazioni fasciste. Manfredi Alemanno è stato presente alla spedizione punitiva ed è fuggito soltanto quando il raid punitivo è terminato.

Ma questa verità viene coperta. E qui entrano in gioco i due agenti. Il poliziotto autista, Macellaro, che era proprio fuori dal cancello del comprensorio, fa salire in macchina Manfredi e lo porta a casa senza mai far parola con nessuno della vicenda e negando persino ai pm di aver visto entrare e uscire gli autori del pestaggio. L’altro ispettore, invece, Ronca, in forza al commissariato Flaminio, prende a verbale una delle ragazzine che aveva assistito dall’inizio alla fine al blitz, e la convince a dichiarare nero su bianco che non era sicura se nel comprensorio, insieme agli aggressori, ci fosse Manfredi. Così, la presenza del figlio del sindaco nel raid viene insabbiata.

Oggi gli unici indagati per quell’episodio sono i due poliziotti. L’inchiesta sulle lesioni commesse dai maggiorenni chiamati dagli amici quattordicenni di Alemanno jr va verso l’archiviazione: nessuna delle persone contattate telefonicamente dall’amico di Manfredi è stata riconosciuta dai presenti come responsabile del pestaggio. Quanto al figlio del sindaco, anche per lui nessuna accusa: ascoltato la scorsa estate dal pubblico ministero Zuin, mise a verbale una lunga serie di “non ricordo” e “non so chi fossero i picchiatori”.