Rosarno: dopo l’esilio tornano 500 africani e nascono nuovi ghetti

Pubblicato il 23 Aprile 2010 - 13:06 OLTRE 6 MESI FA

Quattro mesi dopo le violenze e la “cacciata” di duemila africani a Rosarno è tornato tutto com’era. Tornano alla chetichella gli africani, cinquecento finora. Dopo un mese di “esilio” non hanno più paura. Tornano richiamati dalla fame e dal bisogno di manovalanza dei padroni. Tornano sempre per quelle 25 euro che è il prezzo di una giornata di lavoro a potare gli alberi. La metà di quanto pagherebbero i caporali per braccia “made in italy”. Come prima della rivolta, vivono nei casolari senz’acqua, nè luce. Se possibile in condizioni più disumane di prima. Ma non si nascondono più. Vagano da soli per le strade e non hanno più paura. Si incontrano dal macellaio o in bicicletta tra le anguste stradine in mezzo ai casolari dove hanno subito agguati, sprangate, violenze.

Meno immigrati si contano, giusto quelli “utili” al mercato agricolo. Braccia che servono alla terra in crisi. Ma le piccole comunità sono state annientate, polverizzate. Le bidonville fatiscenti, tra i ruderi delle fabbriche, sono scomparse. La vecchia fabbrica della Rognetta, alle porte del paese, dove si erano accampati e dove almeno c’erano acqua corrente e bagni chimici, è stata demolita. L’ex Opera Sila, 700 posti in un impianto abbandonato per la raffinazione dell’olio, è perlustrata dalle forze dell’ordine così come le casupole nei dintorni. Chi di loro ha potuto, una volta rientrato dopo gli sgomberi, ha affittato una piccola casa in paese, gli altri sono tornati a vivere tra i cumuli di spazzatura. Hanno ripiegato per ricoveri di fortuna in luoghi più impervi, laddove i controlli non arrivano.

C’è chi per il suo letto paga 50 euro al mese, un “affitto di mercato” come spiegano gli inquilini, che si sentono quasi fortunati. Nel trilocale vicino si contano almeno 25 letti. Alcuni sono ancora vuoti, abbandonati a gennaio, quando fuori infuriava la guerra dei poveri e la città era messa a “ferro e fuoco”. Nei nuovi ghetti che nascono però stentano a raggiungerli anche i pochi aiuti delle associazioni di volontariato e della gente di buon cuore. Il parroco di Libera, Don Pino De Masi, ospita i quattro immigrati che a gennaio erano stati feriti. Ha cominciato con loro un corso di alfabetizzazione: per imparare l’italiano usano dvd pirati.

Nella Rosarno “multietnica” ora nei campi si va un giorno sì, uno no. I pochi che sono tornati sono venuti per la raccolta delle ultime arance, qualche bracciante serve sempre. Ora che la stagione degli agrumi si è conclusa, zappano, seminano, ripuliscono dalle erbacce. Ci sono gli alberi che vanno potati e poi è cominciata la raccolta delle fragole, prima di migrare ancora in Puglia e in Sicilia per quella dei pomodori.

I soldi sono pochissimi. Se il lavoro non c’è ci mette in fila da “Mamma Africa”, una signora di 85 anni, Norina Ventre, per chiedere un pacco di riso. Fuori dalla sua porta c’è sempre la coda e il cibo scarseggia. A fianco c’è l’ambulatorio Asl per gli “stranieri temporaneamente presenti”. Il laboratorio è tornato a vivere da quando hanno cominciato a far rientro gli africani: almeno 310 pazienti in un mese. Il personale Asl è senza stipendio da ottobre, ma va avanti.

Con il ritorno degli immigrati, in città anche gli affari stanno ricominciando: subito dopo l’esilio, l’agenzia di Peppe Cannata per i documenti e il Phone Center erano passati da centinaia di euro al giorno incassati ad appena cinque. A Rosarno, però, le rivolte dei neri – quella di gennaio e l’altra del dicembre 2008, scatenate entrambe dalle pistolettate esplose contro alcuni di loro – qualche beneficio l’hanno portato.  Un’inchiesta della Procura di Palmi ha individuato un’associazione a delinquere di decine di persone per sfruttare il lavoro nero. Il prefetto di Reggio, Luigi Varratta, assicura che «nei prossimi mesi partiranno i controlli a tappeto nelle aziende agricole per evitare che in autunno Rosarno torni una polveriera».