Wikileaks, i documenti sull’Iraq confermano i dubbi del 2005 sulla morte di Marracino

Pubblicato il 25 Ottobre 2010 - 15:56 OLTRE 6 MESI FA

Già quando fu data notizia della morte del sergente Salvatore Marracino in un’esercitazione a fuoco a Nassiryia, il 15 marzo 2005, furono sollevati da più parti interrogativi e dubbi sulla ricostruzione ufficiale che era stata fornita dall’Esercito, dubbi che trovarono spazio su organi di informazione in particolare dopo le rivelazioni di Wikileaks.

A quanto venne reso noto all’epoca, il militare si era sparato sul volto tentando di disinceppare l’arma mentre era impegnato in una esercitazione di tiro con l’arma automatica di reparto. L’arma era una ‘Minimi’, mitragliatrice leggera Nato di calibro 5.56. La ferita era dallo zigomo alla parte superiore del cranio.

Il generale Giovan Battista Borrini, allora comandante del contingente militare italiano in Iraq, spiegò  che l’attività di addestramento ”era coordinata da un direttore di tiro che, nel momento in cui si è verificato l’incidente, non guardava Marracino ma era concentrato su altri due militari. Ad un tratto ha visto il sergente accasciarsi e, in un primo momento, ha pensato ad un malore. Poi si è accorto di quello che era successo”.

I dubbi sulla ricostruzione dell’incidente sorsero in primo luogo perché il sergente Marracino faceva parte di un reparto d’élite, il centottantacinquesimo Rao (Reggimento acquisizione obiettivi) della ‘Folgore’, era nell’esercito da otto anni, da quando aveva 20 anni, e aveva già partecipato a quattro missioni militari operative all’estero, due in Kosovo e due in Afghanistan.

Aveva dunque un’esperienza tale che sembrava difficile credere che, per tentare di risolvere l’inceppamento, egli rivolgesse l’arma contro il proprio volto: essendo un militare esperto – si sottolineava – avrebbe mantenuto l’arma puntata contro i bersagli e avrebbe avvisato del malfunzionamento il direttore di tiro, che avrebbe sospeso il fuoco e fatto trasferire l’arma inceppata, in sicurezza, verso un luogo dove potesse essere resa inoffensiva.

Inoltre, si rilevava che la canna del ‘Minimi’ è lunga circa un metro, e ci vogliono lunghe braccia per arrivare al calcio e sparare impugnando l’arma a rovescio. Il 17 marzo, il procuratore militare di Roma, Antonino Intelisano, aprì un’inchiesta e affidò l’autopsia al professor Vittorio Fineschi, direttore della scuola di specializzazione in medicina legale dell’università di Foggia.

L’esame necroscopico incrementò i dubbi: evidenziò infatti, un foro d’ingresso sulla fronte, non sotto lo zigomo come era stato detto inizialmente dalle fonti ufficiali e dallo stesso generale Borrini. Il proiettile era penetrato nella scatola cranica spappolando la parte superiore del cervello e causando la morte del parà. L’autopsia evidenziò anche una ferita sotto allo zigomo sinistro, una ferita lacero-contusa profonda, ma non al punto da provocare la frattura dello zigomo, a forma di mezzaluna.

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