Dai pozzi fumanti del petrolio saudita, che fanno la ricchezza della monarchia islamica più rigida, si leva un’oasi di libertà chiamata Kaust. È un campus universitario in cui lo sfarzo e la tecnologia lasciano posto ai diritti civili più comuni, nel resto del mondo e anche della galassia musulmana, ma non nella culla dei wahabiti.
Le donne possono guidare, girare per le aule senza l’abito tradizionale, l’abaya, che copre interamente il loro corpo. Il velo non è obbligatorio, chi vuole può lasciare visibili i capelli fluenti. Uomini e donne studiano insieme, nelle stesse classi, seduti a fianco in biblioteca e in caffetteria. Sono caduti i muri fra i sessi, almeno in quel piccolo fazzoletto di terra a nord di Gedda sul Mar Rosso. Alla King Abdullah University of Science and Technology l’arabo si parla poco, la lingua più diffusa è l’inglese, gli stranieri che la frequentano sono tanti.
Gli studenti iscritti al primo anno sono 817 e provengono da 61 nazioni diverse: è quello che il re Abdullah bin Abdul Aziz al Saud chiama “un faro di tolleranza” in cui si incontrano diversi pensieri e culture, ma in sintonia con la matrice islamica che segna profondamente la gestione del paese.
Il Corano in Arabia Saudita è legge, gli articoli della Costituzione e i dettami per i cittadini sono costituiti dalle sure del libro sacro. Nella terra natìa del profeta Maometto si punta a azzerare o almeno a restringere drasticamente il divario sociale che c’è tra uomini e donne. La petromonarchia che fa del dollaro il suo detonatore vuole cambiare volto e trasformarsi in un crogiolo di idee positive che guardano all’occidente non solo per ricchezza. Re Abdullah mira a creare una nuova élite tutta saudita, per ora però solo il 15% degli iscritti è arabo.
I religiosi guardano scettici una simile deriva dell’istruzione nel paese e si accaniscono contro la soluzione dell’ateneo misto: «La commistione tra sessi è un grave peccato ed esigiamo una verifica sulla conformità alla sharia dei programmi di studio», ha dichiarato al quotidiano Al Watan Sheikh Saad Al Shethri. Il sovrano ha risposto stizzito a un simile attacco alla sua creatura, definita “un sogno coltivato per 25 anni”: «Fede e scienza non sono in contraddizione tra loro se non per le anime malsane, anzi questi centri scientifici sono un baluardo contro l’estremismo».
Il progetto del sovrano ottantacinquenne vale 23 miliardi di dollari, oltre la metà sono stati sborsati attingendo direttamente dalle casse del Regno, mentre il resto è stato versato dagli sponsor. Dietro questo paradiso di libertà al centro di palme e dune si cela la mano dei colossi occidentali come Ibm, Dow Chemical e Boing, ma la spinta all’istruzione d’oro è un’idea locale. Una scommessa che rischia di restare isolata in una realtà ancora troppo legata all’islam ancestrale.